Di nuovo torna a mordere ferocemente l’emergenza COVID; parliamo nuovamente di lockdown; si discute di soluzioni tampone e questa volta dobbiamo arrampicarci sugli specchi per evitarne uno generalizzato che darebbe un colpo mortale alla nostra economia.
Eppure la prima ondata avrebbe dovuto insegnarci qualcosina se è vero come è vero che tutti a Giugno dicevamo che per fronteggiare una seconda ondata avremmo dovuto rafforzare ed in alcuni casi implementare ex novo l’assistenza nei territori, creare un sistema di tracciamento dei positivi e dei loro contatti, evitare il più possibile le ospedalizzazioni assistendo adeguatamente i positivi a casa; che bisognava rafforzare gli organici di medici infermieri, tecnici e personale di supporto.
Ed invece eccoci qui di nuovo in balia della seconda ondata perchè ai diversi livelli di responsabilità nulla di tutto questo è stato fatto se non ed in alcuni casi in minima parte.
Allora partiamo da questo indiscutibile dato di fatto per capire e suggerire cosa oggi e fin da subito sarebbe auspicabile iniziare a fare anche in fase emergenziale per non rendere improduttivo questo ormai inevitabile lockdown, totale o parziale o a macchia di leopardo che sia.
Noi infermieri siamo abituati ad approcciare i problemi di salute seguendo il processo di nursing, partendo da un’analisi a 360 gradi del paziente e dei dati socio sanitari dello stesso.
In questo caso aggiungeremo un’analisi anche politica e direi che il nostro ragionamento debba necessariamente dipanarsi da quatto fattori determinanti:
- SISTEMA SANITARIO
- INFORMAZIONE
- STAFFING E POLITICHE DI IMPLEMENTAZIONE
- ECONOMIA
Il nostro sistema sanitario trae origine dalla legge di riforma sanitaria 833/78 una legge davvero molto datata, ma che se vista nella sua interezza era futuristica nel 1978, tanto da essere attualissima nel 2020.
Purtroppo in questi anni troppe modifiche scriteriate ne hanno prodotto una sostanziale modifica determinando nei fatti una inapplicabilità dei suoi principi basilari, depotenziandola, depauperandola e producendo il disastro messo a nudo dal virus.
Con la legge 502/92 le unità sanitarie locali vengono trasformate in aziende ognuna autonoma. Se poi a questo aggiungiamo la modifica del titolo V della costituzione legge 3/2001 che ha nei fatti smembrato il nostro SSN in 21 SSR, che vanno ognuno per proprio conto senza alcuna regia e spesso in contrasto tra loro, tanto che il governo dovette mettere un riparo a questo marasma per garantire ai cittadini delle diverse regioni un minimo di equità nelle prestazioni istituendo i cosiddetti LEA (livelli essenziali di assistenza).
Ma la domanda sorge spontanea: siamo sicuri che tutte le regioni garantiscano fattivamente questi LEA?
Se c’è una cosa che questa pandemia ha e sta dimostrando è proprio il fallimento di questo contorto ed irresponsabile sistema che ha di fatto smontato e disarticolato proprio i principi fondanti della legge di riforma sanitaria appurato quindi che il sistema così non è sostenibile.
Sarebbe il caso di tornare ai principi fondanti di quella vecchia e depauperata legge rimettendo in primo piano il SSN e di tornare ad una gestione territoriale politico/sanitaria del sistema salute.
In questo modo si tornerebbe a garantire solidarietà, equità ed accessibilità alle cure di tutti i cittadini adattando le politiche sanitarie, pur nel quadro generale nazionale, ad ogni singolo territorio, perchè diversi sono gli scenari territoriali di un paese geograficamente ed epidemiologicamente variegato come il nostro.
Il nostro sistema salute versa oggi in una gravissima ed irreversibile situazione di insufficienza multiorgano, si deve quindi intervenire drasticamente con interventi rianimatori urgenti e non più procrastinabili.
Anche l’informazione in questo scenario offre diversi spunti di riflessione, fermo restando la sua indipendenza e la sua libertà di esplicazione, non è tuttavia più sostenibile nel mezzo di una crisi sanitaria mondiale che circolino così allegramente notizie, informazioni, posizioni e posizionamenti che non rispecchino i risultati di seri e rigorosi studi scientifici.
Negare l’evidenza dei fatti e farlo ad ogni costo non solo non è corretto, ma peggio dannoso.
Infine ricordiamolo anche che un uso politico, strumentale ed irresponsabile di false informazioni in un clima di emergenza sanitaria, economica ed etica come quella che stiamo vivendo comporta come abbiamo in questi giorni drammaticamente visto violente reazioni artatamente costruite ed organizzate proprio su queste notizie false e tendenziose.
Noi infermieri stiamo sperimentando sulla nostra pelle questo clima di odio e di irresponsabilità.
E’ di questi giorni la notizia della vandalizzazione di diverse auto nel parcheggio di un ospedale o la nascita di pagine su diversi social che pretenderebbero di dimostrare che quanto stiamo dicendo da Agosto ormai sia solamente una questione di interesse; si arriva a dire che ammazziamo i nostri pazienti, che siamo pagati per affermare che i reparti e le rianimazioni si stanno saturando e che seguiamo non si sa bene quale interesse.
Questa situazione non è più sostenibile e pur nel rispetto di tutte le opinioni e di tutte le posizioni sarebbe utile ed urgente mettere uno stop a questo gioco al massacro.
Bisogna dare ai nostri cittadini gli strumenti per distinguere la qualità delle informazione e gli organi di informazione dovrebbero rispondere ad un etica ed evitare di far fare comparse a pseudoscienziati sostituendoli con elementi scientificamente validati e provenienti da seri e rigorosi studi.
Gli staffing di professionisti della salute e di operatori sanitari sono palesemente in terminale sofferenza.
Anni ed anni di aziendalizzazione, di regionalizzazione, di piani di rientro e di definanziamento del sistema salute ci hanno consegnato un quadro occupazionale drammatico ed ingestibile, cui non è francamente possibile mettere riparo nel brevissimo tempo perchè formare un professionista della salute è questione di anni e non di giorni; perchè viste le condizioni contrattuali e operative il nostro sistema salute non è attrattivo con la conseguenza che una cospicua fetta dei professionisti che ogni anno formiamo se ne vanno a lavorare all’estero e non tornano più.
Eppure continuiamo ad offrire contratti a tempo determinato persino ai vincitori di concorso: PERSONALE USA E GETTA.
Continuiamo ad offrire partite IVA o CO.CO.CO. a cifre ridicole.
Personale spremuto come limoni e poi gettato nel limbo della disoccupazione.
Stiamo addirittura reclutando gli studenti ancora non laureati.
Giovani professionisti non ancora debitamente formati ed abilitati gettati nella mischia come fanteria da cannone.
Basta. A tutto c’è un limite anche all’indecenza di certi amministratori, anche a politiche scellerate ed espulsive, anche alla cecità ed all’incapacità di programmazione.
Cosa fare dunque in un quadro così compromesso quasi al limite dell’irreparabile?
Qualcosa si può e si deve fare, essendo infermiere ed essendo la QUESTIONE INFERMIERISTICA ormai da anni sui tavoli dei decisori.
Intanto cominciamo ad assumere e con contratti a tempo indeterminato tutti gli infermieri presenti in tutte le graduatorie attive sul territorio nazionale.
Poi rendiamo attrattivo lavorare nel nostro sistema salute; stabiliamo una paga dignitosa per questi professionisti, portandola ad un livello europeo.
Sarebbe un grande segnale di attenzione capace di essere un elemento di attrazione anche per i colleghi sparsi per il mondo, un incentivo al rientro in patria potrebbe fare la differenza.
Poche ed indispensabili cose di buon senso che non hanno nell’immediato costi vivi e che proprio per questo si possono fare in pochi giorni.
Non sfuggirà a nessuno che già prima della pandemia erano mancanti all’appello 53000 soli infermieri situazione insostenibile prima figuriamoci adesso.
Altra cosa da fare e che è strettamente collegata a questo aspetto come detto sopra è una riorganizzazione del sistema salute che valorizzi le professionalità e le competenze, se infatti rianimeremo il nostro sistema salute e lo faremo anche partendo da quell’immenso patrimonio di competenze che abbiamo renderemo più attrattivo anche per chi è all’estero che rientrando porterebbe con se un valore aggiunto, quello della loro esperienza in contesti organizzativi moderni visto che i nostri modelli organizzativi sono obsoleti.
Angelo De Angelis
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