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Giornata mondiale delle cardiopatie congenite: a San Valentino è questione… di cuore

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Cardiomiopatia ipertrofica ostruttiva: risultati incoraggianti da terapia con mevacamten
Virtual image of human heart with cardiogram
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Una ricorrenza che cade in occasione della festa dedicata agli innamorati. Proprio il cuore è al centro di questo appuntamento: quando batte irregolarmente per motivi non legati a Cupido e alle sue frecce.

Le cardiopatie congenite sono un tipo di difetto cardiaco presente alla nascita ed è causato dalla formazione anormale del cuore e o dei grandi vasi sanguigni durante lo sviluppo fetale. La frequenza si aggira intorno al 0,7-0,8% dei nati vivi, di cui il 30-35% sono forme severe. La mortalità a 1 anno è del 18%, un ulteriore 7% muore entro i 5 anni. Le cardiopatie congenite rappresentano il 3% di tutte le morti nell’infanzia e sono la causa del 45% di tutte le morti per malformazione congenita.

Nell’85% dei casi l’eziologia delle cardiopatie congenite è multifattoriale ed è il risultato dell’interazione tra fattori genetici predisponenti e fattori ambientali inducenti come l’alcool, assunzione di farmaci (antidepressivi, anticonvulsivanti), radiazioni, diabete materno, infezioni (rosolia, morbillo, varicella) deficit vitaminici (A e B).

Le cardiopatie con genesi multifattoriale tendono a rincorrere la stessa famiglia: il rischio empirico stima la probabilità di ricorrenza tra consanguinei di primo grado intorno all’1-3%, con picchi intorno al 10% se ci sono due fratelli affetti all’interno della famiglia.

Nel 10% dei casi le cardiopatie congenite sono associate a malformazioni extracardiache, con netta prevalenza della sindrome di Down, seguita dalle sindromi di George, di Williams, e di Turner.

Altre alterazioni sono legate all’eziologia mendeliana monoegenica (mutazione di un solo gene), come nelle sindromi di Noonan, di Marfan e di Holt-Oram.

Le Cardiopatie congenite possono essere suddivisi per criteri clinici (come proposto nelle immagini: cianogene e non cianogene), fisiopatologici (Forme di iperaflusso polmonare, normale afflusso polmonare e ipoafflusso polmonare) o anatomici (rapporti tra i vari segmenti anatomici e difetti organogenetici)

Particolare attenzione meritano le cardiopatie congenite a esordio clinico neonatale (di norma entro i primi 3-7 giorni di vita) che per la loro gravita sono sempre incompatibili con la vita se non trattate tempestivamente. Queste emergenze neonatali includono condizioni caratterizzate da grave ostruzione al flusso polmonare o sistemico, in cui la pervietà del dotto arterioso (o la persistente comunicazione tra cuore destro e sinistro attraverso un DIA – difetto del setto intra-atriale- o un DIV -difetto del setto intraventricolare-) risulta fondamentale per la sopravvivenza perché permette di indirizzare il flusso in arteria polmonare o in aorta, bypassando l’ostacolo all’eflusso.

Le manifestazioni cliniche sono normalmente gravi e precoci: si manifestano, come riportato all’inizio del paragrafo, entro la prima settimana di vita, quando vi è la chiusura del dotto arterioso (dotto dipendenza).

Queste cardiopatie si evidenziano per la presenza di scompenso o cianosi o per il riscontro del soffio all’auscultazione. I punti fondamentali per una diagnosi precoce sono: esame obiettivo, ecg, rx torace, ecocardiografia e pulsossimetria periferica.

Grazie al miglioramento delle metodiche di diagnosi prenatale, una quota sempre maggiore di neonati con cardiopatia congenita è oggi individuata prima della nascita.

La diagnosi prenatale consente un adeguato counseling familiare e permette di programmare in sicurezza il parto e il successivo percorso diagnostico/terapeutico. L’efficacia della diagnosi prenatale non è tuttavia assoluta e allo stato attuale una percentuale significativa di neonati nasce senza il sospetto di cardiopatia. Le forme che più facilmente vengono identificate all’ecografia ostetrica sono quelle che alterano grossolanamente le quattro camere cardiache (cuore sinistro ipoplastico, l’ateresia della tricuspide, il ventricolo univoco). Altre forme, non meno gravi, sfuggono più facilmente: è il caso della coartazione aortica e delle anomalie dell’arco aortico, de ritorno venoso polmonare anomalo e della trasposizione dei grossi vasi.

Dal momento che l’efficacia della diagnosi prenatale delle cardiopatie congenite è ancora insoddisfacente e che il riconoscimento clinico è difficoltoso, specialmente quando si attuano politiche di dimissione precoce del neonato dal nido, è stato proposto di sottoporre tutti i neonati a screening della saturazione di ossigeno per l’individuazione delle cardiopatie critiche.

Lo screening mediante pulsossimetria valuta la saturazione d’ossigeno a livello pre-duttale (mano destra) e post-duttale (piede) e non deve essere eseguito prima delle 2 ore di vita.

Nei neonati con alterazioni della saturazione pre/post-duttale (inferiore a 95% o con almeno 3% di differenza della SpO2 tra le due misurazioni) deve essere seguita da visita cardiologica ed ecocardiogramma per poter effettuare una diagnosi mirata. L’unico limite di questo screening è legato alla sensibilità, in quanto nelle forme ostruttive del ventricolo sinistro (come la coartazione aortica) sono presenti normali valori di saturazione.

Il trattamento delle cardiopatie congenite varia in base alla gravità, all’eziologia e alla fisiopatologia e comprende: interventi di chirurgia convenzionale, emodinamica interventistica e terapia ibrida.

Il trattamento delle cardiopatie congenite consente oggi di mantenere uno stile di vita normale e in alcuni casi, quando l’intervento chirurgico riesce a ripristinare l’anatomia e le normali funzione, è prevista l’idoneità all’attività sportiva agonistica. Il numero di pazienti che raggiungono l’età adulta è in aumento e la percentuale rispetto ai nati con queste malattie  è in aumento e si aggira attualmente intorno all’80-85%, così come il 40-45% dei giovani pazienti è tornato a praticare sport a livello agonistico.

Mauro Marcone

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