Riceviamo e pubblichiamo una lettera inviataci da una studentessa di infermieristica pediatrica che racconta la sua esperienza
Salve, sono una studentessa di infermieristica pediatrica e seguo con molto interesse il vostro giornale.
Trovo molto istruttivi i vostri contenuti ma ciò che mi colpisce maggiormente, purtroppo, sono le notizie sugli sfruttamenti, il demansionamento e le critiche condizioni in cui versa la professione infermieristica.
Mi ritrovo a scrivervi e non so bene neanche il perché, forse solo per sfogarmi.
Sono al secondo anno di università e dal momento in cui ho cominciato a seguire le lezioni e praticare il tirocinio mi sono scontrata con una dura realtà.
Meglio di me, chi da anni lavora nel mondo infermieristico, conosce i problemi e le lacune del sistema sanitario italiano, perciò non farò un elenco di punti negativi ma parlerò piuttosto della mia esperienza.
Molti dei miei professori e degli infermieri con cui ho avuto l’onore di lavorare mi hanno brutalmente (e giustamente) posta di fronte al fatto che la professione infermieristica versa in condizioni difficili, che devo prepararmi ad un futuro incerto, fatto di turni massacranti, sacrifici e fatica; ho capito che trovare lavoro non sarà facile, che riceverò uno stipendio misero e che il mio lavoro e la mia persona non saranno quasi mai rispettati.
“Sei al primo anno, cambia finché sei in tempo” e “ma chi te lo fa fare” sono frasi che ho sentito molte volte.
Nei momenti di pausa, nelle medicherie a rassettare, passando per i corridoi, tante, troppe volte ho sentito gli infermieri lamentarsi e preoccuparsi: tagli di stipendi, schede di valutazione dalla dubbia validità, litigi fra colleghi e coordinatori.
Ed io, umile unità lavorativa, tirocinante inesperta e ingenua, ascolto in silenzio, senza metter bocca in argomenti che ancora non mi competono.
Vengo pian piano a conoscenza di tutti i nei di questo mondo e cerco di non farmi sopraffare da tutte le negatività e dal futuro incerto che incombe su di me.
Spesso, in queste occasioni, mi sento dire “ormai noi abbiamo dato, un lavoro lo abbiamo, siete voi giovani ad essere nei guai” oppure “ragazza mia, scappa dall’Italia che qua, come vedi, si campa male”.
In un anno e mezzo di università ho visto e sentito cose davvero scoraggianti e ho pensato più di una volta di mollare, che non vale la pena faticare così tanto per ritrovarmi con un bel niente fra le mani, che sto solo facendo sprecare soldi a mia madre e buttando tre anni della mia vita.
Ma no. Io non rinuncio. Non mi piego.
Ho scelto di dedicare la mia vita all’assistenza del prossimo perché è nella mia indole prendermi cura degli altri.
Sono giovane, piena d’entusiasmo e di energie e credo profondamente in questa professione, così nobile e importante e così svalutata e fatta a pezzi.
Ho deciso di rimanere, perseverare e sperare, perché nonostante le difficoltà mi piace da morire quello che ho scelto di fare nella vita.
Mi piace accudire i miei piccoli pazienti, parlare con le loro famiglie e aiutarli a superare i momenti difficili della malattia, spiegare loro le procedure cui dovranno sottoporsi e aiutarli così a ridurre e gestire l’ansia.
Mi piace promuovere la salute, fare prelievi, preparare terapie e sperare di vederli guarire.
Mi piace prendermi cura della loro igiene e mi piace anche rifare i letti, sì, perché vedere un paziente stare comodo, su un letto pulito, ordinato e decoroso grazie a un mio piccolo contributo mi riempie il cuore di gioia.
All’Università ho imparato che “la professione infermieristica prevede un approccio olistico alla persona” e queste bellissime parole le ho impresse a fuoco nella mia mente, perché racchiudono tutto ciò che come infermiera vorrei essere nella vita: un professionista sanitario preparato, competente e in continuo aggiornamento, una spalla su cui piangere, una figura di riferimento, un educatore sanitario, un aiuto pratico, un assistente sociale, un amico persino.
Mi piace prendermi cura delle persone a tutto tondo, aiutarle a soddisfare i propri bisogni.
Mi piace pensare che quello dell’infermiere non sia un semplice lavoro, ma uno stile di vita.
Sono follemente innamorata della professione infermieristica e ogni giorno questo amore cresce sempre di più.
Ho deciso di rimanere qui, a sporcarmi le mani e sputare sangue perché credo davvero in quello che facciamo e ho deciso di battermi per la mia professione.
Vorrei cambiare il mondo infermieristico per il meglio, dare un contributo significativo.
Vorrei guardare i miei colleghi, un giorno, e vederli contenti di ciò che fanno perché messi nelle condizioni di lavorare al meglio, vorrei vederli sani nel corpo e nella mente, vorrei che gli infermieri più anziani potessero andare in pensione e lasciare il posto a giovani pieni di energia, entusiasmo e tanta voglia di fare del bene.
Troppe volte ho visto uomini e donne arrivare a detestare questo lavoro, perché stanchi, spremuti fino all’ultima goccia.
E mi fa male, davvero male, pensare che un giorno potrebbe toccare a me, che potrei perdere il mio entusiasmo e il mio sorriso a causa della fatica e della frustrazione.
Tremo all’idea di sfogare sui pazienti la mia stanchezza e la mia rabbia, odio aver paura di inacidirmi e non riuscire più a trasmettere nulla se non negatività alle persone di cui mi prenderò cura.
Il mondo infermieristico è un mondo meraviglioso, complesso e articolato che devo ancora scoprire e comprendere appieno ed è forte e vivo in me il desiderio di vederlo brillare.
Forse questa lettera non ha senso, forse nessuno la leggerà mai e forse è solo lo sciocco sfogo di una sciocca studentessa ingenuamente entusiasta.
Ma se mai qualcuno dovesse prendersi la briga di leggere ciò che ho scritto allora vorrei lanciare un appello: se c’è qualcuno che ci crede come ci credo io, vi prego, fatemi capire che non sono sola, che non sono pazza a pensare queste cose, che è possibile cambiare, creare un’identità forte della nostra professione!
Aiutatemi a realizzare il mio sogno o, almeno, aiutatemi a non farlo morire!
Una studentessa
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