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Sempre meno iscritti ai test di Infermieristica, Mangiacavalli (Fnopi): “Servono interventi strutturali. Al lavoro su nuove lauree magistrali”

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“Giochi fatti” per il rinnovo degli Organi FNOPI: la “maggioranza bulgara” della Mangiacavalli
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Prendono il via oggi, 5 settembre, i test di ammissione a Infermieristica. Con numeri scoraggianti: su un totale di 20.714 posti disponibili nelle 41 facoltà italiane, i candidati iscritti alle prove sono appena 21.250. In pratica, poco più di un aspirante infermiere per ogni posto. Intervistata in esclusiva da One Health, Barbara Mangiacavalli, presidente Fnopi, ha analizzato una situazione che rischia di far deflagrare il Ssn, afflitto da una grave carenza di personale.

“In qualità di ente sussidiario – spiega Mangiacavalli -, da anni Fnopi chiede di aumentare i posti messi a bando, consapevole che, per questioni demografiche, avremmo presto raggiunto la gobba pensionistica… Negli ultimi quattro anni, fortunatamente, i posti messi a bando sono progressivamente aumentati e siamo arrivati agli attuali 21mila. Il tema fondamentale è che, già lo scorso anno, quando erano 19mila, in alcune università, soprattutto del Nord e del Centro Italia, non sono stati coperti tutti i posti, quindi abbiamo avuto meno candidati che posti disponibili”.

La crisi, dunque, riguarda soprattutto il Centro-Nord, dove il numero dei posti supera addirittura quello degli iscritti ai test d’ingresso. “Sulla scorta di questo problema quest’anno è stata introdotta un’importante novità: un criterio di flessibilità nelle graduatorie. Fino allo scorso anno il candidato che non riusciva a entrare nella sede scelta non poteva chiedere di essere trasferito in un’altra sede. Per questo anno accademico, invece, dovremmo garantire la possibilità, almeno per chi è idoneo, di poter scegliere sedi diverse”.

Di fatto, però, i posti disponibili non vengono “saturati”, e quindi non vi è alcuna selezione. Le ragioni di questo paradosso? Per Mangiacavalli sono fondamentalmente tre: “Sviluppo demografico del Paese, aspetto economico e tasso di abbandono”.

Il tema dell’aspetto economico è ben noto: “Quella dell’Infermiere è una professione con poche soddisfazioni economiche: rispetto alla media dei Paesi Ocse lo stipendio italiano medio è inferiore dal 25 al 40%. A questo dobbiamo poi aggiungere il fatto che la professione non ha accesso alla dirigenza e non ha la possibilità di svolgere la libera professione, poiché ancora vige il sistema dell’incompatibilità e del cumulo di impieghi”.

Un approfondimento lo merita il tema dello sviluppo demografico. “In Italia ci sono sempre meno giovani – afferma Mangiacavalli -, e le generazioni che adesso scelgono il corso di laurea sono quasi la metà, in termini numerici, di quelle che sono oggi nel mondo del lavoro e che hanno circa 50 anni. Quindi pochi giovani e non particolarmente orientati a scegliere percorsi formativi che prevedono un impegno costante sette giorni su sette per 365 giorni all’anno, preferendo invece percorsi nati e cresciuti negli ultimi anni”.

Quanto all’abbandono del percorso di studi (tasso pari al 30%), poi, Mangiacavalli è convinta che non sia questione di scarsa attrattività della professione: “Non è vero che il corso di laurea ha perso attrattività. La causa dell’abbandono è da ricercare in una scelta poco incline alle prerogative di alcuni o in una professione senza progressione di carriera. Abbiamo giovani che vorrebbero studiare di più e qualificarsi in un settore specialistico. Anche le competenze acquisite in servizio non sono automaticamente e facilmente riconoscibili sul piano giuridico ed economico. Come Federazione, abbiamo chiesto un cambiamento e una riflessione sia al ministero che alle Regioni: il tema non è più convincere i giovani a scegliere il corso di laurea in Infermieristica; abbiamo bisogno non di interventi palliativi o tampone, ma strutturali”.

Qualche esempio? “Siamo alle battute finali, in una grande azione sinergica con il ministero della Salute, il ministero dell’Università e gli organismi ad hoc, di un percorso che preveda, dopo la laurea triennale (che è abilitante), la possibilità di proseguire con tre lauree magistrali a indirizzo clinico-specialistico – annuncia Mangiacavalli -. Oggi ne esiste solo una con un indirizzo organizzativo, e non molto ambito dai giovani. I sondaggi di AlmaLaurea ci dicono, però, che i giovani vorrebbero continuare a studiare seguendo un indirizzo clinico. Ne stiamo quindi definendo tre, con importanti agganci normativi nel Pnrr: cure territoriali (l’infermiere di famiglia e di comunità), emergenza-urgenza (sia ospedaliera che territoriale) e neonatale-pediatrica. Collocandoli poi, economicamente e giuridicamente, in maniera diversa”.

Non solo: “Occorrerebbe inoltre superare definitivamente il problema del cumulo di impieghi: potrebbe aprire a un elemento di attrattività. Di fatto non è realistico pensare che lo Stato aumenti significativamente gli stipendi nella pubblica amministrazione. Gli infermieri che invece operano nel privato accreditato hanno qualche vincolo in meno, soprattutto quello dell’esclusività”.

Conclude Mangiacavalli: “Oggi il profilo dell’infermiere meriterebbe una rivisitazione. Oppure siamo arrivati al punto in cui la professione potrebbe non avere più bisogno di un profilo professionale, come il medico. La professione infermieristica ha un campo di attività e di responsabilità che è dato da ciò che acquisisce durante la formazione di base abilitante, durante la formazione specialistica e dal Codice deontologico. Questi sono i parametri che delimitano ciò che fa, ciò che può fare o di cosa dovrebbe farsi carico. Probabilmente arriveremo al punto in cui questo profilo, accompagnato da tanti anni di storia e di evoluzione, sarà pronto a lasciare il passo a una connotazione intellettuale e professionale che è quella della autoregolamentazione”.

Redazione Nurse Times

Fonte: One Health

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