Gli inquirenti parlano di “sistema” e “sodalizio criminoso”. L’ex dg dell’ospedale di Perugia sceglie di non rispondere.
Un “sodalizio criminoso” in grado di piegare “stabilmente lo svolgimento di pubbliche funzioni al perseguimento di interessi privati”, come “vantaggi politico-elettorali, mantenimento di posizioni di potere, vantaggi per sé e per i soggetti legati da vincoli di amicizia o di vicinanza politica”. Un “sistema” che, se in un anno è stato in grado di truccare otto concorsi pubblici, allora, secondo gli investigatori della guardia di finanza, ne può aver ragionevolmente piegati alle proprie esigenze tanti altri. “Almeno per tre anni”, sussurra chi ha messo nero su bianco il malaffare negli uffici dell’Azienda ospedaliera.
Davanti al giudice restano in silenzio quasi tutti, ma a parlare sono le carte dell’inchiesta che ha sconvolto la sanità e la politica umbra. L’inchiesta sui concorsi pilotati all’ospedale di Perugia (dai posti per categorie protette a quelli da primario), che ha portato agli arresti domiciliari l’ex sottosegretario all’Interno e segretario regionale Pd, Giampiero Bocci, l’assessore alla Sanità, Luca Barberini (Pd), il direttore generale dell’Azienda ospedaliera, Emilio Duca (foto), e il direttore amministrativo Maurizio Valorosi. Più sei funzionari sospesi per sei mesi e altri 25 indagati.
Concorsi truccati da almeno tre anni, dunque. Questa convinzione traspare anche dalle oltre 500 pagine con cui la Procura perugina ha motivato la richiesta di misure cautelari. “Nel giro di pochi mesi sono stati accertati tantissimi reati, e si ha la ragionevole certezza che altri emergeranno da un’approfondita analisi del materiale probatorio e dalle ulteriori investigazioni che verranno espletate una volta eseguita la misura”, scrivono il procuratore capo Luigi De Ficchy e i sostituti Mario Formisano e Paolo Abbritti.
E a conferma di come il sistema di spartizioni fosse pratica nota, ecco una frase di Duca intercettata dai finanzieri e finita nell’informativa finale alla procura: «… Perugia è stata distribuita a tutti…». Parole pronunciate nel corso di una discussione con Valorosi e un altro indagato, Moreno Conti, considerato uomo molto vicino a Bocci. Una curiosità: soprattutto dopo aver stabilito di avere gli uffici pieni di “cimici”, gli indagati hanno iniziato a parlare sempre di più in dialetto, tanto che in alcuni punti si è reso necessario per i finanzieri ricorrere a esperti dell’idioma perugino.
Ieri Duca è rimasto in silenzio davanti al gip Valerio D’Andria. «È prevalsa l’esigenza di poter studiare a fondo tutti gli atti di indagine – ha spiegato il suo legale Francesco Falcinelli –. È stato impossibile farlo in così pochi giorni». Duca non ha neppure chiesto di tornare in libertà. Ha parlato, invece, una dirigente dell’ospedale, Maria Cristina Conte: «Nessun favoritismo a nessun candidato – si apprende attraverso il penalista Luciano Ghirga –. Tracce in anticipo? Macché, parlava degli eventuali argomenti che potevano essere affrontati durante i test».
Redazione Nurse Times
Fonte: Il Messaggero
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