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Sanità in Sicilia, non solo siringhe. Quei costi anomali e le gare milionarie

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In principio fu il siringone. E, anche alla fine, sempre lì si arriva. Una confezione di siringhe “cono luer da tre pezzi con ago” da 5 ml al Civico di Palermo costano quasi il triplo di quanto le pagano le Asp e gli ospedali della Sicilia orientale: 0,023 euro contro 0,0659.

Questione di centesimi? Non tanto, se si calcola la differenza su milioni e milioni di confezioni, quando si espletano gare – come quella di bacino est con l’Asp di Messina capofila – con un budget di 40 milioni per l’acquisto di garze, siringhe, aghi, cotone et similia.

E la questione diventa ancora più grave se si va oltre il siringone, totem ironico (ma fino a un certo punto) delle disparità di costi nell’acquisto di beni e servizi in sanità. Altri esempi significativi? Quasi un euro di differenza, nell’urinometro (sistema per la misurazione della diuresi) fra il Policlinico di Messina e l’Asp di Trapani; i circa 300 euro di sovraccosto – fra l’Asp di Trapani e il Garibaldi di Catania – per una pinza riutilizzabile dello stesso modello e prodotta dalla medesima ditta; e poi, in tema di servizi non sanitari, il lavanolo (lavaggio e noleggio di biancheria ospedaliera) a Catania costa 2,28 euro a posto–letto «comprensivo di integrazione biancheria e di lavaggio divise», mentre a Enna si usa un metodo diverso, con 3,32 euro a giornata di degenza, più 56 centesimi giornalieri per ogni singolo dipendente, facendo quasi raddoppiare il costo.

Basta aggiungere molti zeri a questi decimali e il gioco (non sempre pulito) è fatto. Esempi spiccioli di un affare miliardario, se la Regione – secondo gli ultimi dati dell’Agenas – spende ogni anno 579 milioni euro per prodotti farmaceutici ed emoderivati, 1,2 miliardi per beni e servizi e 872mila per farmaceutica: circa il 32% dei costi complessivi della sanità siciliana.

Il neo-assessore Baldo Gucciardi, in una recente intervista, s’è detto favorevole a una centrale unica per gli acquisti («altrimenti andremo a sbattere la testa al muro»), da sempre vista come il fumo negli occhi dal governatore Rosario Crocetta nella sua crociata contro le multinazionali che danneggiano le piccole imprese siciliane. Ma non è più una questione di opinioni: c’è una legge regionale (la 9/2015) che prevede la centrale unica per beni e servizi, non soltanto sanitari, per tutta la pubblica amministrazione siciliana; c’è un accordo firmato a luglio in Conferenza Stato-Regioni (rinegoziazione dei contratti e dei prezzi del 5%, revisione del prontuario, tetto massimo sul budget regionale al 4,4% per i presidi medici); e c’è un gruppo di lavoro all’assessorato all’Economia per la creazione della centrale unica.

Ma i diretti interessati, ovvero i dirigenti che nelle varie aziende sanitarie e ospedaliere si occupano degli acquisti, sono piuttosto scettici. Non soltanto sul «rispetto della scadenza del 31 dicembre», ma soprattutto sulla tendenza complessiva. «La centralizzazione – sostiene Pino Rausa, presidente dell’Associazione regionale economi e provveditori della Sicilia – distrugge le piccole imprese locali che non hanno la capacità di concorrere sugli alti volumi non avendo tra l’altro alcun accesso al credito adeguato alle nuove necessità di fornitura». Ma l’Areps non risparmia alcune stoccate alla Regione, «prodiga nell’evidenziare le responsabilità di acquisto delle singole aziende», ma che «non ha ancora messo in campo nessuna seria politica di contenimento della spesa che si concili con la necessità di acquisire prodotti qualitativamente adeguati e con tetti massimi di costo».

Rausa ricorda che «la Regione ottiene flussi costanti dalle Aziende su acquisti, prezzi e tipologie ma non ritorna niente in termini di informazioni per ottenere standardizzazione dei prodotti da acquisire a secondo delle specialità mediche e chirurgiche sia in termini di basi d’asta da utilizzare per i singoli prodotti da porre in gara». Il riferimento è anche al servizio, profumatamente pagato dalla Regione e fornito da Kpmg e Pricewaterhouse Coopers per una piattaforma gestionale in sanità che nel 2016 andrebbe incrociato con Sicilia e-Servizi. L’Isola è stata divisa in due bacini: orientale (Catania, Messina, Enna, Ragusa e Siracusa) e occidentale (Agrigento, Caltanissetta, Palermo e Trapani) per la gestione degli appalti sanitari.

E alcuni risultati, ci sono stati in termini di risparmi. Anche se i provveditori delle aziende sanitarie siciliane pensano a un’altra strategia, proposta nel corso di un’audizione in commissione Sanità all’Ars: «Un capitolato regionale per le principali tipologie di prodotti, identificati dalla Regione nella loro descrizione e anche nelle basi d’asta, da svolgere anche su una piattaforma regionale centralizzata tipo Mepa (Mercato elettronico della pubblica amministrazione, ndr), ma su basi di singola azienda o provincia». Eppure, denuncia il presidente Areps, «non si tocca il campo dei signori medici», anche perché «le gare di bacino altro non sono che la somma delle esigenze di tutti i diversi primari», nel senso che i capitolati sarebbero una sorta di sommatoria degli interessi (quasi sempre professionali) di chi richiede un particolare tipo di prodotto. Intanto si continua con le stesse regole del gioco. E una serie di appalti ghiottissimi già “sfornati” dai due bacini.

La più imponente è quella per l’acquisto di farmaci per tutte le aziende sanitarie e gli ospedali dell’Isola: 1 miliardo il costo stimato, scadenza agosto 2016, capofila l’Asp di Catania. A confronto sembrano briciole (ma non lo sono) i 119 milioni per i dispositivi di emodinamica a Messina e i 103 per quelli di anestesia e rianimazione a Siracusa. E infine il gran ritorno dei pannoloni: 56 milioni per “ausili per incontinenza” a Enna.

Fonte: www.lasicilia.it

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