Episodi di corruzione in un’azienda sanitaria su 3, meccanismi di controllo che non funzionano e sprechi che ci fanno buttare miliardi di euro nel secchio. Questi i dati del Rapporto di Transparency Italia, Censis e Ispe-Sanità presentato in occasione della prima giornata nazionale contro la corruzione in sanità.
“La sanità, per l’enorme giro di affari che ha intorno e per il fatto che anche in tempi di crisi è un settore che non può essere sottovalutato, è il terreno di scorribanda da parte di delinquenti di ogni risma”. Queste sono state le ‘rassicuranti’ affermazioni di Raffaele Cantone, Presidente dell’Autorità nazionale anti corruzione, intervenuto ieri alla presentazione del Rapporto di Transparency Italia, Censis e Ispe-Sanità in occasione della prima giornata nazionale contro la corruzione in sanità. Non che la cosa ci lasci stupiti più di tanto… ma la pubblicazione di dati che ‘provano’ in qualche modo la dilagante corruzione che appesta l’Italia e tutti gli sprechi tipici del nostro paese, fa comunque un certo effetto.
Il settore sanitario, secondo il Sottosegretario all’Istruzione, Università e Ricerca, Davide Faraone, “continua ad essere tra i più colpiti dal virus della corruzione: ben 2 milioni di italiani hanno pagato ‘bustarelle’ per ricevere favori in ambito sanitario e 10 milioni hanno effettuato visite mediche specialistiche in ‘nero’”… “La corruzione in Sanità costa almeno 6 miliardi di euro, cioè più del 5% della spesa sanitaria pubblica. Queste sono le risorse distolte dai servizi sanitari a causa di corruzione e frodi”.
E ciò fa rabbia. Tanta rabbia. Perché sono numeri enormi, questi, se si pensa ad esempio che in questo paese i disabili gravissimi, totalmente immobili e connessi a presidi tecnologici per poter sopravvivere, sono ciclicamente costretti ad affrontare estenuanti giornate di protesta davanti ai palazzi della politica (prossima protesta a Roma il 5 maggio); minacciando scioperi della fame, della sete e di spegnere il proprio respiratore meccanico… perché? Per ottenere dei livelli minimi di assistenza accettabili. Per portare il Fondo per la non autosufficienza a 400 milioni. Molti soldi, ma che rappresentano briciole in confronto all’enormità delle ruberie e degli sprechi.
Ciò fa rabbia. Tanta rabbia, se si pensa anche a ciò che noi Infermieri italiani stiamo vivendo da un po’ di tempo a questa parte, impantanati nella disoccupazione e nel precariato, con le assunzioni da parte dei privati diventate un lontano miraggio e con i concorsi pubblici ‘utili’ (ovvero quelli dove per un posto non si presentano in 5000)… oramai ridotti ad una vera e propria chimera. E questo mentre le condizioni lavorative diventano sempre più insostenibili, sempre più al limite ed il burnout, un tempo nemico da evitare a tutti i costi, si è trasformato in un fedele compagno… sempre presente, ad ogni turno.
E la qualità dell’assistenza? Beh, quella è inevitabilmente degenerata insieme a tutto il resto. Degenerata a tal punto da aver perso di significato. Che vuol dire oggi qualità dell’assistenza sanitaria, qui in Italia? Bah… In un sistema dove tutto è profitto, tutto è spreco e appalto, tutto è amicizie e raccomandazioni, tutto è corrotto… un concetto ‘astratto’ come quello di qualità dell’assistenza (vedi LEA) diventa solo qualcosa di vuoto con cui molte aziende arricchiscono solo i propri spot pubblicitari. Niente di più. Qualcosa che non può più esistere, purtroppo. Almeno qui. Dove i più bravi non vanno avanti da decenni, dove i più bravi non occupano i posti chiave e le posizioni di potere, dove i più bravi sono addirittura relegati ai margini… dove essere più bravo è un deterrente negativo. Anzi, è addirittura una colpa. Di conseguenza… come, in che ambito e con quale credibilità è ancora possibile parlare di ‘qualità’ qui in Italia? Eppure nei miei tre anni di università erano riusciti a convincermi che erogare un’assistenza di qualità, basata sul ‘saper essere’ e sul ‘saper fare’, fosse fondamentale. Mi avevano convinto che il paziente, sempre e comunque, fosse ‘al centro’.
Nel dettaglio, il Report presentato ieri a Roma ha analizzato tre distinti aspetti, in corrispondenza a 3 macro-azioni condotte rispettivamente da Censis, Rissc e Ispe: la percezione della corruzione da parte dei dirigenti di 151 strutture sanitarie, l’analisi del livello di rischio-corruzione nei processi di acquisto delle aziende sanitarie e gli indicatori di spreco nei conti economici. Secondo i dirigenti interpellati, negli ultimi 5 anni si sono verificati episodi di corruzione addirittura nel 37% di 151 aziende sanitarie italiane; e logicamente, in circa un terzo dei casi questi episodi non sono stati affrontati e risolti in maniera ‘appropriata’. Ma non finisce qui: il 77% dei dirigenti ritiene che all’interno della propria struttura ci sia il rischio concreto che si verifichino fenomeni di corruzione; e il 10% di loro definisce tale rischio come ‘elevato’. Appalti e assunzioni di personale, come prevedibile, sono gli ambiti più vulnerabili sotto il punto di vista degli ‘attacchi’ corruttivi. E i meccanismi di controllo come il Piano anticorruzione? Ci sono, ma… sembrano arginare il fenomeno solo a livello ‘formale’ o parziale… tanto che il 35% dei dirigenti sanitari ritiene che il Piano non impatti in maniera decisiva sulla diffusione della corruzione.
In sintesi: 37% di corruzione tra ASL e Aziende Ospedaliere, seri dubbi sui meccanismi di controllo, sprechi che ci fanno buttare miliardi di euro nel secchio e… Sanità in ginocchio. Viva l’Italia.
Alessio Biondino
Fonti: Sanità24, Il Messaggero
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La mappa della corruzione in Sanità
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