Sono confuso. Vorrei capire qual è il ruolo dell’infermiere: quello assegnato dal legislatore che disegna un professionista laureato ed autonomo con responsabilità e competenze crescenti, con una dignità da pubblico ufficiale o, invece, il lavoratore senza arte né parte, che descrive il giudice del tribunale di Salerno sulla causa intentata per demansionamento?
Perché, se le parole scritte dal giudice dovessero essere la verità sottaciuta sul vero ruolo dell’infermiere, bisognerebbe renderle note a tutti gli attori del complicato processo di cura.
Dovrebbero sapere i laureandi in infermieristica che si ritroveranno a distribuire vitto, a consegnare ed a prelevare presidi sanitari e documenti nei vari uffici, a rifare letti vuoti ed a prendere confidenza con padelle, pappagalli e deiezioni.
Dovrebbero spiegare agli infermieri che, su richiesta quasi supplichevole dell’azienda, si prestano a svolgere ore di straordinario, magari come seconda unità in un reparto di medicina, con più di 30 posti letto e senza oss …che l’oss (ma anche il portantino) sono loro.
Dovrebbero informare l’utenza che se non ricevono un’assistenza adeguata, prima di picchiare gli infermieri come spesso accade, devono considerare che questi svolgono il lavoro anche delle categorie assenti e, per farlo, si assentano dall’essere infermieri.
Dovrebbero spiegare loro che la persona che prima puliva la padella nel bagno con lo scopino, non perde dignità e non devono dubitare della sua competenza quando, dopo pochi minuti, si accinge a posizionare un PICC.
Ma davvero si ritiene che un infermiere, con organici già molto carenti, abbia tempo da distrarre alla sua professione per dedicarsi ad altro? Quando l’infermiere è demansionato l’intera assistenza è compromessa.
Io vorrei fossero verificati i metodi ed i tempi di compilazione delle cartelle infermieristiche, i piani assistenziali , le complicanze per ridotta assistenza (ulcere da pressione, flebiti , infezioni crociate ecc.) delle realtà dove l’infermiere deve dedicarsi a ruoli che a lui non competono.
Vorrei che i dati fossero confrontati con le realtà dove gli organici assicurano per ogni turno, per ogni servizio, gli operatori necessari, per numero e per competenza. Già prevedere, come nella sentenza salernitana, la mancata copertura degli organici, in un ospedale, per motivi di “finanza pubblica” provoca l’orticaria a chi da una vita si dedica all’assistenza.
Far intendere poi che l’infermiere non abbia nulla da fare durante il servizio, tanto da potersi dedicare anche al lavoro degli oss (magari anche degli addetti alle pulizie) durante il suo turno e senza pregiudicare il suo mandato professionale, è davvero vomitevole.
Leggerlo su una sentenza, non potrebbe essere intesa come una giustificazione per chi, quasi quotidianamente fa ricorso alla violenza contro i sanitari ritenendoli degli scansafatiche?
La battaglia contro il demansionamento è assolutamente a favore dell’utenza, non è solo una questione di dignità professionale e non è, assolutamente, una difesa di interessi lobbistici.
Mi è arrivato, per strade non verificabili, uno scritto attribuito ad un responsabile infermieristico dell’ospedale nocerino che esulta per la sentenza, prendendosi la paternità del (per lui) “sacrosanto” demansionamento degli infermieri. Si legge che fu deciso di attribuire ore di straordinario agli infermieri affinchè svolgessero il lavoro degli oss.
Furono informati gli infermieri che avrebbero svolto straordinario pagati, si, come infermieri ma con mansioni da oss? Visto che l’infermiere guadagna di più, non si configurerebbe un danno erariale per l’azienda?
Gli infermieri che, umiliati da decenni nelle corsie, hanno intentato causa all’azienda, verrebbero descritti come “manipolo” che tentano di estorcere soldi all’azienda.
Onestamente credo che questo scritto sia completamente falso: conosco l’unità di intenti della categoria. Non posso credere che chi è stato assunto come infermiere sia diventato aguzzino dei suoi stessi colleghi disegnandone a tavolino il demansionamento e l’umiliazione quotidiana. Un infermiere, anche se “fa carriera” e scappa dalla corsia, non potrebbe, chiuso nelle sue stanze del potere, sentirsi difensore di un’utenza da lui mai assistita, caricarsi di meriti di altri e non riconoscere che, favorendo il demansionamento, si sia solo aumentato il rischio clinico di quell’utenza di cui si crede strenuo difensore.
Sempre più convinto che la professione infermieristica non sia un lavoro normale.
Ci saranno altri gradi di giudizio e resto fiducioso che, se qualcuno oggi ha brindato, in un prossimo futuro dovrà interrogarsi sul suo ruolo e, dopo un profondo “mea culpa”, decidere se assolversi. Magari dimettersi e frequentare di più le corsie ospedaliere potrebbe essere una buona penitenza.
Massimo Arundine
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