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PsicoPoint. Quante emozioni può esprimere il volto di un Infermiere?

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Te lo leggo in faccia!

Quante emozioni possiamo esprimere?

Avete visto Inside Out?

Se non lo avete ancora visto, beh, fatelo! Non si è mai troppo grandi per potersi godere un gran bel film animato realizzato dalla Pixar Studios e distribuito dalla Walt Disney. Il film (NO SPOILER, tranquilli) parla di una splendida avventura all’interno della mente di una ragazzina di undici anni.

I protagonisti indiscussi sono Gioia, Tristezza, Rabbia, Paura e Disgusto: ovvero, le nostre emozioni.
Ma come mai proprio queste cinque? E l’invidia? La vergogna? Dove sono finite!?

Beh, sappiate che non si tratta di un escamotage del cinema o di una licenza artistica della Disney: questa volta i creatori della pellicola si sono dati davvero tanto da fare e prima di realizzare questo cartone animato hanno studiato davvero molto, soprattutto Ekman e la sua teoria sulle espressioni facciali.

Sono diversi i modi di esprimere le emozioni; il volto è sicuramente il canale comunicativo principale.

Ekman fu un pioniere nel campo del riconoscimento emotivo tramite le espressioni facciali.

Secondo l’importante psicologo statunitense tali espressioni sarebbero:

  1. Unitarie e chiuse;
  2.  Universalmente condivise;
  3. Specifiche per ogni emozione.
Le manifestazioni emotive si mostrerebbero sempre allo stesso modo: indipendentemente dal sesso, dalla razza, dalla scolarizzazione, dalla cultura di appartenenza ecc.

Le emozioni sarebbero isomorfe (ovvero, ad ogni emozione corrisponderebbe una configurazione facciale esclusiva e distinta da tutte le altre – ad esempio, quando ci arrabbiamo aggrottiamo le ciglia).
Le emozioni per Ekman sono universali, sia sul piano della produzione che del riconoscimento: ciò significa che siccome tutti gli esseri umani utilizzano gli stessi movimenti facciali, tutte le persone esibirebbero la stessa gamma di emozioni.

Insomma, per Ekman si gioisce in ugual modo qui come in America, noi esprimiamo emozioni identiche a quelle delle popolazioni Australiane.
Per verificare l’universalità delle emozioni, Ekman condusse un esperimento che lo rese famoso. Presentò, ad un gruppo di soggetti provenienti da culture diverse, alcune fotografie raffiguranti volti intenti in una serie di espressioni emotive. Queste fotografie vennero presentate negli Stati Uniti, in Brasile, in Cile, fino in Giappone.

La cosa sorprendente è che tutti i soggetti sperimentali associavano ad alcune foto una gamma precisa di emozioni: queste foto rappresentavano quelle che secondo Ekman erano le espressioni emotive fondamentali, ovvero le emozioni primarie del genere umano: Felicità, Sorpresa, Tristezza, Rabbia, Paura e Disgusto.

L’esperimento venne comunque criticato.

Si ipotizzò, ad esempio, come le culture prese in considerazione avessero avuto probabilmente molti contatti fra di loro, tali da creare una condivisione di determinate emozioni.

Allora, Ekman e Friesen (1972) effettuarono lo stesso esperimento con culture pre-letterate della Papua Nuova Guinea, del Borneo e con i Dani – una popolazione dell’Indonesia.

Quello che notarono fu che spesso l’espressione di sorpresa veniva confusa con la paura:

“… il primo istante di molte paure non è forse un moto di sorpresa? Infatti, in un ambiente naturale praticamente tutto ciò che sorprende e cioè un evento improvviso o insolito, è potenzialmente pericoloso ed evoca l’avvicinarsi di un predatore o di un nemico …”
Ecco quindi svelata la scelta cinematografica della Disney: non è assolutamente un caso aver scelto Gioia (e Sorpresa), Tristezza, Rabbia, Paura e Disgusto come protagonisti di un film

E le altre emozioni?

Beh, secondo Ekman esisterebbero emozioni primarie ed emozioni secondarie. Le espressioni che non rientrano in quelle primarie sarebbero da considerarsi frutto di un’evoluzione culturale. Non tutte le persone, a parer di Ekman, proverebbero emozioni e sentimenti quali ad esempio la vergogna, alcune popolazioni non saprebbero neppure cosa sia! Secondo Ekman, le emozioni secondarie sarebbero un approccio al mondo dettato dalla cultura di riferimento.

Certo, queste sono considerazioni abbastanza forti, ma il campo di studi è tutt’ora aperto. Non dimentichiamo inoltre che provare un’emozione ed esprimerla non sono la stessa cosa, e non sempre mostriamo agli altri tutte le nostre emozioni. Scherzando un po’, prendiamo come esempio Clint Eastwood: alcuni suoi film sono davvero molto toccanti e le emozioni che prova e che ci trasmette sono tantissime, eppure la sua espressione facciale.. è sempre la stessa!!
Per concludere, secondo Fridlund (1994) – psicologo interessato al comportamento – le espressioni facciali avrebbero una funzione sociale comunicativa, prima ancora che emotiva: per questo occorre prestare sempre molta attenzione perché non sempre ciò che comunichiamo corrisponde alla verità, ma spesso dietro ogni maschera c’è tutto un mondo da scoprire.


Ringraziamo il dott. Giuseppe Marino per questa interessante analisi ed invitiamo tutti i nostri lettori a non perdere il prossimo appuntamento con PsicoPoint, la rubrica dedicata alla psicologia degli Infermieri.

Simone Gussoni

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