Ogni anno su 20 milioni di accessi ben l’85 per cento sono impropri. E’ fuori dall’ospedale che vanno organizzate le strutture per limitare i ricoveri non necessari, sostiene la presidente della Federazione nazionale dei Collegi Ipasvi
ROMA – La scena è quella ormai tipica di ogni periodo natalizio o in concomitanza con l’emergenza influenzale: i pronto soccorso presi d’assalto dai pazienti anche quando non ce ne sia un effettivo bisogno. Un’abitudine figlia anche di quello che si potrebbe definire il combinato disposto della sanità italiana: da una parte si riducono i posti letto negli ospedali e dall’altra manca un’organizzazione valida sul territorio. Il risultato, come detto, è il ricorso, anche improprio, ai pronto soccorso che, soprattutto durante le feste, vanno in tilt.
A rilanciare le criticità di un sistema che potrebbe trovare una valida soluzione nelle strutture territoriali opportunamente organizzate, è la presidente della Federazione nazionale di Collegi Ipasvi, Barbara Mangiacavalli. Che rafforza la sua tesi con i dati forniti dall’Annuario statistico del Ministero della Salute: su circa 20,5 milioni di accessi all’anno al pronto soccorso solo il 15 per cento dei pazienti viene ricoverato. Questo vuol dire che l’85 per cento dei casi (quindi oltre 17 milioni di accessi) avrebbe potuto avere una soluzione in strutture territoriali organizzate. E nelle regioni dove questa organizzazione è presente i numeri danno ragione alla Mangiacavalli: in Friuli Venezia Giulia la media dei ricoveri dopo l’accesso al pronto soccorso è del 3,1 per cento ben al di sotto della media nazionale (pari all’8,2 per cento). Al di sopra di questo valore ci sono, invece, quasi tutte le regioni alle prese con il piano di rientro o commissariate in tema di sanità con la Puglia che, ad esempio, raggiunge il 22 per cento dei ricoveri. Altro elemento di criticità sono i ricoveri ripetuti (quelli legati ad una mancata assistenza post-dimissioni): riuscire ad evitarne il 10 per cento, sostiene la Mangiacavalli, farebbe risparmiare oltre un miliardo di euro di spesa. La soluzione per snellire il ricorso al pronto soccorso e al ricovero è a portata di mano: la presa in carico degli assistiti, territoriale e ospedaliera, affidata agli infermieri. “Il modello – spiega la presidente della Federazione nazionale Ipasvi – si deve caratterizzare per la capacità di porre il paziente al centro del percorso di cura, puntando all’integrazione e alla personalizzazione dell’assistenza”.
Il paradosso, sottolinea la Mangiacavalli, è che quel modello già c’è, contenuto nel piano nazionale cronicità che punta al territorio ma anche dagli stessi nuovi Lea che stanno per diventare operativi. “Il problema – aggiunge la presidente della Federazione – è l’attuazione rallentata da modelli ancora abbarbicati al passato e spesso anche a una visione miope e antica della multiprofessionalità da parte di alcune categorie professionali”.
E se in ospedale l’assistenza dovrebbe avvenire in base a diversi livelli di complessità (alta per le degenze intensive e sub intensive, media per le degenze per aree funzionali e bassa dedicata a pazienti post acuti), sul territorio dei pazienti si occuperà un team multi professionale, nel quale uno degli infermieri svolge la funzione di “care management”, organizza il richiamo periodico dei pazienti, mantiene il collegamento diretto con il “tutor” ospedaliero. Così si ridurrebbero, in un sol colpo, il ricorso al pronto soccorso e i ricoveri impropri. Ed è fuori dall’ospedale che vanno organizzate, a giudizio della Mangiacavalli, le strutture adatte per limitare accessi e ricoveri. “Accanto agli ospedali di comunità va definito il ruolo chiave degli infermieri nell’assistenza domiciliare integrata, in quella presso le strutture residenziali e i centri diurni dove sia i trattamenti intensivi e quelli estensivi richiedono la presenza infermieristica sulle 24 ore”. Ci sarebbero 40mila professionisti da poter utilizzare grazie a modelli organizzativi ad hoc.
Senza dimenticare, infine, quelle strutture presenti solo sulla carta, come la . “Si tratta di applicare norme già in vigore – chiosa la Mangiacavalli -. Nella farmacia dei servizi ci dovrebbero essere spazi dedicati a prestazioni che possono essere offerte dagli infermieri”.
Salvatore Petrarolo
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