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Perché in Italia non esiste l’infermiere specialista?

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Personale sanitario: sistema discriminante per i passaggi di fascia
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Proponiamo di seguito un elaborato a cura del dottor Gaetano Ciscardi.

Il modello di salute e patologico dell’essere umano è in continua evoluzione veicolandosi sempre di più verso una concezione di “cura della salute” più che di “cura della malattia”. In considerazione di tale affermazione, non rientra più la concezione di un infermiere “tuttologo”, capace di sapere un pò tutto e saperlo più o meno bene ma sapere tanto in base alle proprie attitudini professionali e di studio. Pertanto le scienze sanitarie − o come preferite chiamare professioni sanitarie − assumono un ruolo predominante e centrale nel nuovo paradigma che prevede il loro inserimento a pieno titolo nel processo di cura del paziente in stretta collaborazione alla figura medica, togliendo gli ancoraggi nascosti e purtroppo ancora oggi omessi della sub-ordinazione a codesta classe.

Oggi più che mai stiamo assistendo ad un forte cambiamento dello stato di salute affiancato ad una prolungata aspettativa di vita (ad 80 anni infatti si può vivere ancora mantenendo ben salde le funzioni fisiologiche e psico-fisiche). In questo forte stato di mutazione del concetto di salute, mancano le dovute risposte che la sanità dovrebbe dare sia in termini di qualità ed appropriatezza di cure che di gestione di costi e risorse (utilizzare il giusto professionista per il giusto trattamento).

Come ribadito recentemente anche dalla mozione del Consiglio nazionale degli OPI per lo sviluppo professionale e del SSN, agli infermieri “contemporanei” viene chiesta una sempre più elevata conoscenza e competenza specialistica inerenti la branca nella quale lavorano, evitando la demotivazione e deprofessionalizzazione di cui spesso e volentieri soffrono gli infermieri italiani, i quali pagano severamente il fatto di essere inseriti in contesti lavorativi che non esprimono le loro potenzialità ed attitudini professionali, spesso accompagnate magari da titoli post-laurea (master di I o II livello) che nulla hanno a che vedere col reparto in cui lavorano. Questa situazione si viene palesemente a creare grazie ad una falla all’interno del sistema formativo e giuridico.

Mi spiego meglio. L’oramai famosissimo Comma 566 della Legge di Stabilità del 2015 ha fallito totalmente il suo focus applicativo, in quanto non solo non si è mai visto alcun cambiamento in termini di “competenze avanzate” dei professionisti sanitari (e quindi anche degli infermieri), ma risulta una legge fine a se stessa; come può una legge prevedere delle competenze avanzate senza poggiare le basi affinchè tali competenze vengano espletate?

Parliamo della formazione universitaria, ad oggi inefficace e totalmente da ricostruire considerando l’evoluzione del ruolo infermieristico e la mutazione dei bisogni di salute della popolazione; parliamo della mancata uscita dell’infermiere dal famoso “comparto” in cui teoricamente e praticamente non dovrebbe farne parte in quanto facente parte dei professionisti intellettuali e quindi da inquadrare come DIRIGENTI; parliamo di un mancato riconoscimento economico da attuare nei confronti di professionisti che scelgono di specializzarsi − e quindi di continuare gli studi per formarsi e diventare esperti in quel determinato ambito − e che non possono di certo subire un salario ubiquitario rispetto a chi non ha deciso di continuare a specializzarsi e quindi a formarsi per acquisire competenze maggiori.

Mutazione professionale ma non della sua effettiva attuazione o forse dovremmo dire che ha voluto solamente “spingere” a creare figure specialistiche senza che in realtà queste esistessero sulla carta e sopratutto venissero retribuite alla pari di chi queste competenze non le ha mai acquisite. A cosa serve parlare di competenze avanzate quando in realtà queste non sono riconosciute sulla pratica quotidiana e su quella formativa? Perchè nel Regno Unito esiste il Surgical Nurse Pratctitioner (ossia infermiere specializzato in chirurgia che può visitare paziente, prescrivere alcune classi di farmaci ed effettuare procedure che i “normali” infermieri non possono espletare)?

Ma come ovviare allora a questa “crisi d’identità” professionale che non permette di trovare univocità di intenti? La prima cosa da fare per cambiare un sistema culturale professionale è intervenire sulla formazione di quest’ultima, orientando i Dottori Infermieri del domani ad una concezione di scienza infermieristica rivoluzionaria e lontana dai concetti anacronistici e non più applicabili del passato; i corsi di laurea in infermieristica dovrebbero assumere una organizzazione strutturale e formativa tolemaicistica, in cui la disciplina centrale deve essere l’infermieristica mentre il contorno formativo deve essere formato dall’insieme delle altre discipline (medica in primis) che agiscono da integrazione e completamento del percorso che porterà lo studente a divenire un dottore abilitato all’esercizio della professione infermieristica.

Si creerebbe un sistema in cui le reali competenze infermieristiche si articolerebbero su tre giacimenti:

1. Individuazione dei problemi assistenziali.
2. Definizione delle conoscenze disciplinari professionali da attuare su tutti i livelli di formazione per l’esercizio corretto della pratica di cura, ricerca, insegnamento e tutoraggio.
3. Ricerca ed applicazione dei contributi di altre discipline che agiranno da supporto ed integrazione per la gestione dei fenomeni a carattere infermieristico.

Avendo chiarito come esistono diversi campi inesplorati del concetto di educazione terapeutica e appropriamento dell’infermiere della cura della fisiologia del paziente più che della sua malattia, occorre sicuramente − come ogni giusta rivoluzione − partire dalle fondamenta, che nel nostro caso specifico riguardano la formazione con quale oggi il futuro dottore infermiere italiano verrà indottrinato; il primo investimento che la categoria dovrebbe spendere riguarda la formazione universitaria e post-universitaria, la quale oggi risulta troppo eterogenea in tutto il territorio Nazionale. Dovrebbe scorrere nelle aule universitarie una corrente teorica e scientifica uniforme, volta alla preparazione di veri futuri professionisti e non di soldatini delle aziende pubbliche o private pronti a ricoprire qualsivoglia mansione a discapito dell’utenza e a favore della dirigenza a cui sta a cuore solo l’ampiezza dei loro portafogli.

Pertanto bisogno partire dal creare ex novo una nuova cultura infermieristica, inserendo una formazione di tipo specialistica che elimini finalmente l’infermiere tuttofare veicolando così le attitudini e le competenze dei professionisti infermieri verso il ramo più idoneo ai loro interessi professionali, alcune già esistenti ma senza esserne certificati in termini di titoli ed applicazioni giuridiche, altre completamente di nuova matrice ma che la comunità e la richiesta di bisogno di salute moderna della società necessità sempre di più. Occorre quindi rimodernare:

− Laurea triennale prolungata di un anno (quadriennale) con inserimento delle Lauree Specialistiche (Infermieristica in medicina generale, Infermieristica in chirurgia generale ed Infermieristica in area critica della durata di 3 anni; Infermieristica neuro-psichiatrica, Infermieristica geriatrica, Infermieristica di famiglia e di comunità, Infermieristica di sanità pubblica, Infermieristica Legale e Forense ed Infermieristica materno-infantile e pediatrica (con susseguente eliminazione del corso di Laurea in Infermieristica Pediatrica) tutti della durata di 2 anni. Inoltre verrebbe mantenuta la Laurea Magistrale, trasformata in “Scienze del management infermieristico” (non includendo le Ostetriche) sempre di durata biennale per funzioni dirigenziali e di docenza. Il Dottorato di Ricerca risulterebbe invariato in 3 anni e previo acquisizione di uno o più dei seguenti titoli specialistici appena menzionati.
− Programmi didattici ubiquitari in tutte le università, con revisione periodica almeno quinquennale degli stessi.
− Riassetto del corpo docenti, assicurando che nelle aule universitarie vi siano Laureati Magistrali (titolo necessario) e PhD (Dottori di Ricerca, che avrebbero la precedenza rispetto ai Dottori Magistrali).
− Riforma del programma di tirocinio a livello nazionale, dove nel nuovo piano quadriennale di formazione base venga stilato un piano di obiettivi unico in tutti i Corsi di Laurea italiani, eliminando competenze non più di natura infermieristica (mansioni domestico-igienico-alberghiere su tutti), garantendo la formazione di tutor adeguatamente formati e che seguano con dedizione e competenza i tirocinanti, i quali dovranno frequentare almeno 500 ore di tirocinio garantiti per ogni anno accademico, mentre i tirocini per le Lauree Specialistiche verrebbero organizzati sulla base della disciplina del ramo frequentato.

Chiaramente la trasformazione della Laurea triennale odierna in Laurea quadriennale, comporterebbe un cambiamento drastico non solo didattico a livello universitario ma anche di inserimento nel mondo del lavoro, in quanto l’infermiere con il solo titolo di base si vedrebbe limitato a lavorare solo in determinati contesti e non nei reparti ospedalieri (al pari della figura medica). Quindi l’accesso ai concorsi non avverrebbe alla pari per tutti ma per branca di specializzazione (es. bando di concorso per copertura n. 3 posti per Infermieri di area critica per U.O.C. M.C.A.U., alla quale potranno partecipare solamente chi risulta essere in possesso della laurea specialistica di riferimento, e così via per le altre specializzazioni).

Quindi sorge spontanea la domanda ma “l’infermiere con la sola laurea quadriennale in che contesti lavorativi potrà essere inserito”? La risposta è data dai seguenti punti:

• Case di riposo private
• Case di cura private non settoriali
• RSA
• Laboratorio analisi e centri privati di diagnostica strumentale
• Aziende pubbliche e private non sanitarie
• Eventi o manifestazioni sportive
• Inserimento della figura di Infermiere di guardia, in collaborazione con il medico di guardia, quest’ultimo spesso costretto a lavorare da SOLO in contesti critici e di emergenza senza nessun supporto sanitario e svolgendo spesso mansioni prettamente infermieristiche.

Alle succitate proposte da impiantare nel sistema di formazione universitaria, andrebbero anche apportate altre modifiche. Oggi se la professione infermieristica soffre della patologia sempre più cronica che prende il nome di demansionamento (o deprofessionalizzazione) lo deve non solo ad un livello formativo accademico che nella quasi totalità degli atenei risulta essere insufficiente (specie nella parte di tirocinio), ma anche ad una cultura sociale che vede l’infermiere come il tuttofare della sanità, il factotum pronto a sacrificarsi per il bene dell’utenza e dell’azienda; concentrandoci su questo punto, forse anche apportando tutte le migliorie possibili al sistema universitario verrebbe difficile farci identificare alla popolazione come Dottori in Infermieristica, perchè apparteniamo ad una cultura che ci vede come “operai sanitari” e non come “professionisti sanitari”. Un professionista sanitario che si rispetti non si permetterebbe mai di mischiare le sue competenze con quelle di altri profili, mantenendo dignità e decoro del proprio profilo professionale.

Come abbiamo visto il calderone delle proposte può essere veramente enorme, con all’interno alcuni suggerimenti totalmente nuovi, altri già esistenti ma mai applicati (come le Lauree Specialistiche Infermieristiche). Il punto non è quali o quante di queste iniziative possano realizzarsi, ma fare qualcosa di concreto e tangibile che dia una svolta ad una professione che risulta angustiata da una palese crisi d’identità. La società richiede continuamente nuovi modelli di cura, e non vuole più essere trattata nella patologia ma nella salute, o comunque nei processi immediatamente precedenti allo stato di malattia (dyrropie). Da qui l’infermiere dovrebbe inserirsi come il solo professionista sanitario in grado di supportare questo nuovo modo di curare e prendersi cura, coltivando il sapere scientifico, preventivo, educazione e relazionale-comunicativo di cui dovrebbe già essere parte dominante della propria attività lavorativa.

Ma allora quale risulta essere il limite concreto per impostare un nuovo modello di concezione del nursing? La risposta sta semplicemente negli infermieri stessi, i quali ancora non hanno deciso cosa vogliono fare da grandi e con chiarezza stabilire l’essenza dei problemi di salute di cui si devono interessare autonomamente. A tal proposito il movimento che mi onoro di rappresentare “Infermieri in Cambiamento” è stato creato proprio per garantire il raggiungimento di uno status professionale che la giurisprudenza e la società oramai ci richiede da tempo ma che ancora nella carta non è mai stato lontanamente raggiunto; una sfida che abbiamo colto con dei colleghi tutti giovanissimi nell’intento di cercare una svolta definitiva e ridare sorriso ai tanti professionisti e colleghi italiani che purtroppo sono sempre più demotivati e declassati.

Ma nessun cambiamento può avvenire senza la forza e la voglia di CREDERCI tutti insieme, per dare un futuro roseo e dignitoso ad una delle professioni più belle del mondo. E se qualcuno, malpensante o semplicemente impaurito, pensa che vogliamo essere “piccoli medici”, gli rispondo già in anticipo dicendo che abbiamo solo voglia di essere GRANDI INFERMIERI, dalle elevate competenze, professionalità, autonomia e responsabilità riconosciute adeguatamente a livello formativo ed economico.

Dott. Gaetano Ciscardi

FONTE: Costanza, R. (2012). “La questione infermieristica. Prendersi cura o curare? L’infermieristica è o non è una scienza?”. Ambrosiana.

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