Un articolo pubblicato un paio di mesi fa sul “The Conversation”, (una delle più prestigiose riviste al mondo in tema di politiche socio economiche, ambiente e medicina), a cura di Cathy Henshall, (un’infermiera ricercatrice con contratto della Oxford Brookes University), ha analizzato lo stato dell’arte del Servizio Sanitario Inglese e della ricerca infermieristica.
Con grande sorpresa, a dispetto di quello che molti possono pensare, me compresa, ho realizzato che la situazione inglese è sovrapponibile per molti aspetti alla nostra realtà italiana.
Cosa dice in sintesi questa ricercatrice?
Per cominciare che l’età media della popolazione britannica si sta sempre più alzando portando con sé tutte le reliquie del caso, malattie croniche come il diabete, malattie cardiache, demenza e cancro.
Questo scenario fa sì che gli infermieri siano in prima linea nel fornire assistenza a queste persone e che svolgano un ruolo fondamentale, nell’individuare e nel migliorare la qualità della vita dei loro assistiti.
La ricerca in ambito sanitario è sempre stata ad appannaggio della categoria medica, e ciò indubbiamente ha portato a enormi miglioramenti nella sanità pubblica, come dimostra la nostra aspettativa di vita, che è aumentata nel corso di questi ultimi decenni.
L’assistenza si sposta sempre più sul territorio, fuori dall’ospedale, dove infermieri sempre più preparati vengono chiamati a fornire un’assistenza di qualità ai loro pazienti e a dare nuove risposte ai nuovi bisogni di salute.
Le recenti modifiche al programma del corso di laurea in Infermieristica, in Gran Bretagna come in Italia del resto, ha fatto sì che tutti gli infermieri abbiano una formazione di base sulla ricerca e la sua metodologia.
Gli infermieri sono in grado di identificare le lacune nella pratica clinica e sviluppare idee e strategie per migliorare le esigenze sanitarie dei pazienti.
Quindi è essenziale, sostiene la Henshall, che gli infermieri siano incoraggiati a intraprendere attività di ricerca, per fornire loro l’opportunità di affrontare le questioni che affrontano quotidianamente nella pratica clinica.
Attraverso la promozione di un’assistenza infermieristica basata sulle evidenze possiamo chiudere il divario, ancora esistente, tra ricerca e pratica.
Gli infermieri sono, difatti, addestrati a valutare, esaminare e sorvegliare eventuali modifiche nei bisogni di salute e nello stile di vita dei loro pazienti.
Hanno le competenze e l’esperienza per fornire il giusto supporto ai pazienti a livello pratico, emotivo e psicologico, tuttavia, è importante alimentare la ricerca incoraggiando gli infermieri a sviluppare l’infermieristica come una scienza e non solo come una professione di cura.
In tal modo, la cura dei pazienti può essere ottimizzata con la consapevolezza che stanno ricevendo assistenza basata sulle migliori evidenze scientifiche, da parte di professionisti preparati.
In termini pratici, ciò si traduce in una progettazione di interventi mirati ad aiutare i pazienti a gestire meglio gli effetti di alcune malattie dell’invecchiamento, quali la fatica, il dolore e la depressione, la gestione delle ferite o l’educazione al paziente con asma e al paziente con diabete.
In Inghilterra, come nel nostro Paese, i tempi sono maturi perché gli infermieri possano diventare leader nella ricerca, per quanto attiene il proprio ambito di competenze, senza per questo perdere di vista le “core competencies” che ne contraddistinguono il loro agire.
La vera sfida per noi infermieri è proprio quella di esperire la competenza anche attraverso la ricerca, solo così, si può sperare di fare il giusto passo avanti nella qualificazione professionale.
Appropriamoci dei nostri spazi di ricerca, al fine di poter essere utili ai nostri pazienti e anche a noi stessi, come professionisti.
Rosaria Palermo
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