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Pensioni, le novità del 2023: aumenti quasi record e ipotesi Quota 41

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Pensioni, le novità del 2023: aumenti quasi record e ipotesi Quota 41
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Tanti i nodi da sciogliere per il Governo. Probabile riconferma per Ape sociale e Opzione Donna.

È quasi una rivalutazione record quella che, per effetto del decreto ministeriale firmato dal ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, scatterà in tema di pensioni dal 1° gennaio 2023. Con gli assegni indicizzati all’andamento dell’inflazione 2022 l’adeguamento sarà del 7,3%, calcolato in via provvisoria sulla base della variazione percentuale negli indici dei prezzi al consumo forniti dall’Istat il 3 novembre 2022. Ma la proiezione per i mesi di novembre e dicembre potrebbe essere al di sotto del dato effettivo di fine anno. La rivalutazione potrebbe pertanto salire ulteriormente, e in questo caso il prossimo anno i pensionati percepirebbero anche un conguaglio, come è già accaduto quest’anno.

Gli aumenti oscilleranno da circa 38 euro al mese per le pensioni minime a 52 euro netti per quelle da 1.000 euro. E poi cresceranno di 100 euro i trattamenti da 2.000 euro lordi e di 150 euro netti gli assegni da 4.000 euro, sempre al lordo. A usufruirne in forma piena (100%), però, saranno solo i titolari di trattamenti fino a quattro volte il minimo Inps, che è di 525,38 euro mensili. L’adeguamento scenderà invece al 90% per i trattamenti compresi tra quattro e cinque volte il minimo, e al 75% per le pensioni sopra la soglia di cinque volte il minimo. La rivalutazione sarà applicata sugli importi lordi degli assegni, comprensivi quindi del conguaglio 2022 (0,2%), erogato all’inizio di novembre di quest’anno.

Considerando lo schema di indicizzazione in vigore, gli assegni al minimo Inps (525 euro) beneficeranno di un aumento mensile di 38 euro netti. Che salirà a 52 euro per i trattamenti di mille euro lordi mensili. Ancora più pesante sarà ovviamente la rivalutazione per le pensioni da 1.500 euro lordi, che dovrebbe essere di 110 euro lordi (75 euro netti), e per quelle da 2.000 euro (adeguamento da 146 euro lordi che diventano 100 euro netti). Salendo ancora, un trattamento da 2.500 euro lordi si dovrebbe irrobustire ogni mese con altri 180 euro lordi, che diventano 111 netti, mentre una pensione da 4.000 euro dovrebbe essere rivalutata di oltre 260 euro lordi, che al netto sarebbero 150 euro netti mensili.

Tra le tante indiscrezioni circolanti si fa largo con insistenza quella riguardante Quota 41, proposta da Fratelli d’Italia e sponsorizzata da Lega e Opzione Uomo. Tale l’ipotesi prevede la possibilità di andare in pensione con 41 anni di contributi, ma comporta tuttavia costi notevoli da affrontare e probabilmente non sarà indipendente dall’età anagrafica. Si parla di un’età tra i 61 e i 63 anni, istituendo così una sorta di Quota 102, Quota 103 o Quota 104. Naturalmente la decisione spetterà al Governo sulla base delle risorse disponibili, anche se risulta papabile la sola Quota 103.

In estrema sintesi, nel 2023 si andrà in pensione al raggiungimento di: 67 anni di età e 20 anni di contributi; 71 anni e 15 anni di contributi; 64 anni di età richiesti dalla pensione anticipata contributiva e 20 anni di contributi con un assegno pari o superiore a 2,8 volte l’assegno sociale. Se non si tiene conto dell’età anagrafica, si potrà andare in pensione anticipatamente qualora si raggiungano i 42 anni e 10 mesi di contributi per gli uomini, un anno in meno per le donne.

Sempre secondo indiscrezioni, saranno riconfermate Ape sociale, in scadenza il 31 dicembre 2022, e Opzione Donna, misure che supportano donne e lavoratori con mansioni usuranti e che rappresentano deroghe alle regole per andare in pensione. L’Ape sociale non è una vera e propria pensione, ma è considerata un’indennità sostitutiva della pensione pagata direttamente dallo Stato. I disoccupati, gli invalidi, i caregiver e i lavoratori addetti a mansioni usuranti andranno in pensione con un’età anagrafica di 63 anni, ma con almeno 30 anni di contributi, 36 in caso di lavoro usuranti. Opzione Donna, invece, è una vera e propria pensione, riservata solo alle donne, e prevede la possibilità di andare in pensione a 58 anni, o 59 per le lavoratrici autonome a fronte di 35 anni di contributi. Potranno accedere all’Opzione solo le le donne nate entro il 1963. Si sta però lavorando per estendere i requisiti di accesso anche alle nate nel 1964.

“Sul tema pensioni in questo momento dobbiamo lavorare sulle ipotesi esistenti – ha detto il ministro del Lavoro, Marina Calderone. Opzione Donna e Ape sociale sono per il Governo da riconfermare. Quota 41 non può essere solo un 41 secco, quindi esclusivamente con 41 anni di contributi, ma può essere invece il punto di partenza di un ragionamento che contempli anche un collegamento a un gate di uscita che è l’età. Realisticamente l’età può essere intorno ai 62-63 anni come ipotesi di lavoro, ma ci potrebbe essere un ragionamento sui 61 e quello solo per un anno, in attesa di una riforma strutturale che vada anche a interessare la previdenza complementare”.

Redazione Nurse Times

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