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Paesi arabi, è boom di medici e infermieri italiani

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Paesi arabi, è boom di medici e infermieri italiani
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Stipendi d’oro, regime fiscale benevolo e tante altre agevolazioni attraggono sempre più professionisti della nostra sanità verso il Golfo.

Fino a ieri erano i calciatori a fine carriera che andavano a farsi coprire d’oro nei ricchi Paesi arabi. Ora, a fare le valige, puntando verso Oriente, sono i nostri medici e infermieri. Attratti da stipendi da sogno e benefit impensabili in Italia, dove gli ospedali continuano ad assumere col contagocce e chi ha la fortuna di lavorarci lo fa con turni massacranti, stipendi bloccati da un decennio e prospettive di carriera ridotte al lumicino.

Così sempre più professionisti della sanità espatriano e a sorpresa. La maggioranza di loro, uno su tre, sceglie proprio i Paesi arabi: Arabia Saudita, Qatar, Emirati Arabi, Dubai e Kuwait in testa. A rilevarlo è un’indagine condotta dall’Amsi, l’Associazione dei medici stranieri in Italia, che in cinque anni ha contato più di 5mila richieste di trasferimento all’estero da parte dei nostri medici e mille domande presentate da infermieri professionali, con un’impennata del 40% nel 2018. E il 30% di chi decide di fare fortuna all’estero punta deciso verso la penisola arabica, da dove è partita già la caccia ai nostri professionisti della salute, bistrattati in patria, ma richiestissimi all’estero per la loro buona formazione.

Alla Asl Padova i dirigenti stanno facendo i salti mortali per convincere a restare i loro medici, contattati da società di cacciatori di teste che, su incarico degli Emirati Arabi, offrono stipendi che vanno dai 14 ai 20mila euro al mese, più interprete, casa, scuola e autista a disposizione. Tempo fa, in un hotel di Bologna, più di 400 sanitari si sono messi in fila per partecipare alle selezioni indette da una società leader per il reclutamento di professionisti, che cercava oltre cento tra medici, infermieri e ostetriche, richiesti dai nuovi super ospedali di Dubai, Abu Dhabi e Dhoa.

Ma il reclutamento avviene anche online. Il sito Medical Careers Global riporta 180 posizioni aperte per medici disposti a proseguire la carriera a Dubai, dove svetta imponente il modernissimo Healthcare City, il più grande polo ospedaliero mai realizzato nella regione e uno dei più grandi del mondo. Dentro le sue mura ospita reparti gestiti da istituti prestigiosi, come l’Harvard Medical School e il Boston University Institute.

Perché, mentre da noi esportiamo medici, ma anche pazienti, gli emiri hanno deciso da tempo di affrancarsi dalla dipendenza dal petrolio, puntando sul ricco business del turismo sanitario. Che sempre più attira da queste parti malati facoltosi, provenienti dall’Europa come dall’America. Per non parlare delle donne arabe, che si copriranno pure con burka e chador, ma che sempre più spesso ricorrono alla chirurgia estetica per modificare il proprio aspetto alla moda occidentale.

E poi c’è anche una domanda di salute che sta esplodendo. Secondo gli esperti della Oxford Economics, entro il prossimo anno solo l’Arabia Saudita avrà bisogno di 10mila nuovi medici, e di altri 20mila entro il 2030. Perché da qui a metà secolo nasceranno 21 milioni di bambini, che richiederanno assunzioni in massa di ostetriche, ginecologi e pediatri. Mentre l’allungamento dell’aspettativa di vita richiede sempre più geriatri e oncologi. Insomma porte aperte per i nostri medici d’Arabia. Attratti non solo da stipendi d’oro, ma anche da un regime fiscale quanto mai benevolo. A Dubai non solo gli stipendi sono esentasse, ma anche le attività libero professionali e le plusvalenze di qualsiasi provenienza.

E la Mecca è anche per gli infermieri. «Qui in Qatar – racconta Simonetta Dalbon, che da cinque anni esercita qui la professione di infermiera – guadagno tre volte di più che in Italia, con un ritmo di crescita salariale del 10% l’anno. E in più ho alloggio, trasporto, assicurazione medica, volo di ritorno a casa pagato una volta l’anno e 42 giorni di ferie, in aggiunta alle festività nazionali». Sia a lei che ai suoi colleghi medici è richiesta una buona conoscenza dell’inglese e il riconoscimento della laurea da parte della autorità sanitarie locali, che solitamente si ottiene in tre mesi. Poi il gioco è fatto. Peccato che, per formare un medico, lo Stato italiano spenda 150mila euro. Quanto una Ferrari che regaliamo a chi, non pago dei petroldollari, ha trasformato anche la sanità in un business.

Redazione Nurse Times

Fonte: La Stampa

 

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