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Ortopedia, l’evoluzione degli interventi: meno bisturi e più tecnologia per trattare le fratture

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Ortopedia, l'evoluzione degli interventi: meno bsturi e più tecnologia per trattare le fratture
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Negli ultimi deici anni c’è stata una rivoluzione nei metodi usati dai traumatologi per affrontare le fratture da incidenti stradali, sportivi e domestici, che hanno reso le cure meno traumatiche e meno dolorose. Se un tempo il chirurgo faceva subito ampie incisioni per raggiungere l’osso fratturato e ricomporlo, oggi si usa il bisturi meno possibile.

Si agisce introducendo viti e fissatori dall’esterno, agendo sotto controllo radiografico, nei centri più attrezzati anche con la Tac, introducendo piastre attraverso piccoli fori e facendole “scivolare” tra i muscoli per metterle in posizione. Si evita così di aggiungere trauma a trauma. Infatti i metodi tradizionali comportavano interventi stressanti per chi non era in ottima salute il rischio di infezioni su tessuti già traumatizzati e lacerati era sempre alto, la guarigione delle ferite chirurgiche lento con lunghi tempi di recupero.

Insomma, la chirurgia mininvasiva, come in altre specialità, è entrata a pieno titolo in traumatologia.

“Inizialmente agivamo dall’esterno solo in artroscopia per riparare i menischi all’interno del ginocchio, ma ci siamo resi conto che sviluppando queste tecniche avremmo potuto operare anche sulle fratture danneggiando meno i tessuti molli che gli stanno intorno – dice il dottor Fabrizio Cortese, presidente di OTODI (Ortopedici Traumatologi Ospedalieri d’Italia) –. La nostra preoccupazione maggiore era quella di evitare le infezioni, perché una infezione ossea è uno problema tra i più difficili da risolvere”.

Sempre Cortese: “Questa evoluzione metodologica e tecnologica è iniziata con l’Orthopedic Damage Control, cioè il fissare con viti e fissatori la frattura e poi operare dopo diversi giorni quando i tessuti si sono normalizzati, ed è proseguita con l’ARIF (fissazione artroscopica assistita), cioè uso di microtelecamera introdotta nell’articolazione per seguire al millimetro come ricomponiamo l’osso fratturato”.

E ancora: “Sono tecniche non solo vantaggiose, ma necessarie, perché oggi gli incidenti sono molto più traumatici e devastanti di un tempo. Le moto sono più veloci, lo sci moderno col carving, causano fratture al ginocchio, anziché alla tibia. Tutte cose più difficili da curare e in cui le complicazioni sono frequenti. Ecco perché la traumatologia minimamente invasiva oggi è indispensabile”.

Insomma, ortopedia e traumatologia sono diventate da una parte sempre più sicure e “delicate” con gli infortunati, e contemporaneamente via via più sofisticate. Il che comporta due cose: attrezzature ad alta tecnologia e medici con una formazione e una preparazione non generica, ma specializzata per i vari tipi di fratture per le diverse parti del corpo. Perché quando si raggiungono questi livelli di raffinatezza, non è possibile che tutti gli ortopedici possano affrontare qualunque problema.

“Occorrono capacità e attrezzature – prosegue Cortese –. Per questo l’assistenza oggi deve svolgersi a due livelli. Il primo livello sta nel lavare, fissare la frattura con fissatori e stabilizzare il paziente. E questo lo devono sapere fare in qualunque ospedale. Ma la fase successiva, cioè operare situazioni difficili, è un altro paio di maniche. Occorre quindi che ci siano i centri specializzati in chirurgia per il bacino, altri per la caviglia, altri per il ginocchio e così via”.

Conclude il Cortese: “Centri che, affrontando un gran numero di casi, sanno trattarli al meglio. Perché ognuno ha i suoi limiti, è passato il tempo in cui tutti devono fare tutto. Noi medici questo lo abbiamo compreso, e sappiamo quando e dove mandare i pazienti. Ma le strutture amministrative e politiche fanno ancora fatica a capirlo. Il problema oggi è questo, e vorrei rivolgere un appello a tutte le autorità sanitarie competenti perché approfondiscano la questione per realizzare una rete trauma nazionale”.

Redazione Nurse Times

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