La pandemia COVID 19 ha preso in contropiede tutti. Non poteva che essere così. Una situazione di tale complessità non era facilmente affrontabile da nessuno.
E se il sistema sanitario ha retto è stato grazie soprattutto agli operatori sanitari tutti che hanno compensato con la loro presenza e disponibilità; al limite dello sfruttamento, le carenze organizzative, di materiale e di personale
Certo forse si poteva fare di meglio e di più, ma piangere sul latte versato non serve a nulla; il sacrificio di tanti nostri colleghi viene offeso se l’esperienza non si tramuta in insegnamento.
Ci permettiamo qui, come Ordine Professionale, di esprimere alcune riflessioni legate alla nostra esperienza sul campo e alla visione che abbiamo del livello delle prestazioni infermieristiche; una visione che non è corporativa, non è accecata da autoreferenzialità, ma che vuole essere politica, nell’accezione positiva del termine: attenzione ai bisogni della società, dei nostri cittadini.
Chiaramente il primo dei problemi è la carenza di personale sanitario, ma su questa questione, almeno dalle dichiarazioni delle forze politiche; sembra che finalmente ci sia un’adeguata attenzione che speriamo possano rispondere alla importanti segnalazioni da parte dei colleghi di frustrazione ed affaticamento.
Qui di seguito vogliamo però, sinteticamente, andare oltre questo problema, sia pure dandolo come condizione “sine qua non”; e centrare le nostre argomentazioni sui problemi qualitativi, non meno importanti di quelli quantitativi.
In primo luogo segnaliamo la necessità di rivedere l’impianto complessivo dell’organizzazione infermieristica. Non abbiamo fatto tesoro dell’esperienza faticosa di marzo e aprile. Un’organizzazione non si può reggere solo sulla buona volontà dei suoi operatori.
Beata quell’organizzazione che non ha bisogno di eroi, per parafrasare una famosa affermazione di Bertolt Brecht. Occorre creare a tutti i livelli forme di comunicazione rapide ed efficaci, centri reali di coordinamento, gestione e di direzione infermieristica; a cui attribuire competenze e obiettivi specifici, reali assunzioni di autonomia e di responsabilità nella pianificazione assistenziale.
Ovviamente in un’ottica di collaborazione interprofessionale; ma che sia collaborazione reale e non si riduca il tutto a trattare gli infermieri come pedine da sparpagliare sul campo, a rincorrere urgenze qua e là.
Autonomia e responsabilità infermieristica che si potrebbe; ad esempio, tradurre nell’individuazione di reparti, setting assistenziali a totale gestione infermieristica contestualizzando le positive esperienze in essere nel contesto nazionale.
Oppure nel riconoscimento della necessità di quadri intermedi, ma anche dirigenti più numerosi e articolati. Si può ancora oggi, tanto per fare un esempio, accettare che un coordinatore gestisca in proprio un centinaio di operatori senza rimanere schiacciato unicamente nel ricorrere i problemi della copertura dei turni?
Sono numerosi gli ambiti nei quali le competenze infermieristiche non trovano adeguata valorizzazione. Basti pensare l’importanza che potrebbe assumere in questo periodo la figura dell’Infermiere Scolastico? E perché non valorizzare veramente la presenza di personale infermieristico nelle alle farmacie? Per non parlare del ruolo nell’ambito dell’emergenza territoriale: automedica, ambulanza infermieristica; che, finalmente, anche grazie all’impegno di OPI Livorno, sembra trovare il giusto riconoscimento anche nel contesto organizzativo livornese.
L’emergenza Covid ha messo a fuoco diversi elementi di criticità. Dentro e fuori l’Ospedale. In primo luogo nessuno era preparato alla necessità di aprire dalla mattina alla sera nuovi reparti per l’assistenza; che non vuol dire solo reperire spazi, letti e macchinari (che sono già una grossa fatica), ma anche reperire personale; cioè spostare colleghi da un settore ad un altro, in aree con diverse tipologie assistenziali. Ma lo abbiamo fatto, anche se con fatica.
Lo abbiamo fatto perché davanti un’emergenza nessuno si tira indietro. Dobbiamo, però, anche qui pensare, al futuro, alla necessità di formare in anticipo i colleghi, alla possibilità di addestrarli con un affiancamento; a premiare la flessibilità volontaria e ancor più quella imposta con i giusti riconoscimenti economici. Altrimenti non è più flessibilità, ma sfruttamento; non è più capacità organizzativa, ma solo grossolano rincorrere i problemi.
Altra criticità è quella territoriale. Ma anche qui occorre stare attenti a non cadere in slogan scaduti ed inutili. In primo luogo occorre modificare, qui in Toscana, il rapporto infermieri/popolazione assistita che risulta essere di 1:10.000.
Un numero che fa semplicemente sorridere, per non piangere, chi conosce i problemi assistenziali infermieristici territoriali. In secondo luogo bisogna ben chiarire e in modo definitivo la presenza infermieristica nelle USCA (le cellule sanitarie territoriali): cogliamo il pericolo di un’ottica che li vede essenzialmente fare un lavoro di segreteria amministrativa, di mero supporto alle attività del medico.
Per dirla chiaramente prendere gli appuntamenti per i pazienti, completare il lavoro amministrativo relativo al paziente, aiutare il medico nelle procedure biomediche sui pazienti (support-role/job), sono interventi non “professionali infermieristici”.
Occorre invece attribuire agli infermieri precise responsabilità cliniche, definire appropriati ambiti di intervento autonomo/collaborativo. Allo stesso modo, occorre definire meglio le attribuzionidell’Infermiere di Famiglia: una figura clinica nuova che, se interfacciata bene con tutte le realtà infermieristiche presenti sul territorio (ADI, USCA, RSA, 118, Centri Socio Sanitari), può veramente dare una risposta efficace ai bisogni di salute della popolazione, ben oltre la stessa emergenza COVID 19.
Chiaramente tutta questa riflessione ci rimanda, oltre che al numero di personale necessario, alla puntuale valutazione delle competenze. Diciamo che è giunto il momento di cambiare il sistema di reclutamento selezionando direttamente il personale con competenze certificate e assumendolo in base al fabbisogno rilevato.
Forse la nostra è una semplice impressione dovuta al pessimismo dell’esperienza: non vorremmo che tutta l’attenzione data oggi al problema della carenza di personale; sia dettata soltanto dalla necessità di tappare i buchi dei vuoti creati in passato da un deleterio obiettivo di risparmio. Il calcolo del personale sanitario necessario, medici e infermieri; ma anche personale OSS, non deve basarsi sulla visione del passato e neanche sulla sola emergenza in atto.
E’, invece, necessario rifarsi a una visione più generale, al saper cogliere i nuovi bisogni di salute; a rinnovare ruoli e ambiti di competenza clinica e di gestione, in parole povere a procedere a una reingegnerizzazione dei processi assistenziali. Errare è umano, ma perseverare, in campo sanitario, è una tragedia.
La Presidente Marcella Zingoni
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