Proponiamo un contributo del nostro collaboratore Pasquale Fava.
La medicina del lavoro nasce quale disciplina specialistica alla fine del Seicento con Bernardino Ramazzini, medico di Carpi (1633), laureatosi all’università di Parma nel 1665. Ramazzini deve considerarsi di fatto il padre della moderna medicina del lavoro e, per certi aspetti, il precursore della legislazione sociale di tutela.
Nella sua opera De morbis artificum, attraverso l’osservazione delle attività lavorative, soprattutto artigianali, descrisse le relative malattie professionali a esse correlate e documentò la necessità di una specifica branca medica che si occupasse della loro prevenzione, accanto a provvedimenti di tutela giuridica e civile. A Bernardino Ramazzini si deve la descrizione e la individuazione degli agenti etiologici del “Polmone dell’agricoltore”, forma più comune fra le alveoliti allergiche estrinseche, prodotta dalle “polveri maligne” che si liberavano nella “battitura del grano e del frumento”.
L’essere umano, passa la maggior parte delle ore di una giornata e la maggior parte dei giorni della settimana nell’ambiente di lavoro, e ciò genera ovviamente delle ripercussioni a lungo termine nella vita del lavoratore, in termini di salute fisica e psichica. La medicina del lavoro nasce a tal scopo: studiare il rapporto tra stato di salute dell’uomo, il lavoro svolto e le condizioni dell’ambiente di lavoro.
Tutti coloro che lavorano in questo settore hanno l’importante ruolo di tutelare, monitorare lo stato di salute dei lavoratori, che a causa di molteplici fattori (intrinsechi ed estrinsechi), può andare incontro a problematiche, che ovviamente si ripercuotono sia nel contesto di lavoro che in quello personale. Il concetto che ne è alla base è l’importanza e il valore della tutela della salute del lavoratore in quanto risorsa dell’individuo nonché per l’organizzazione stessa.
Questa concezione, unita a quelle di ricerca di efficacy ed effectiveness delle prestazioni lavorative stesse (poiché un lavoratore con uno stato di benessere ottimale è un lavoratore che può rendere al meglio nel proprio contesto operativo), sono state spunti di riflessione per l’International Commission on Occupational Health, la cui divisione di ricerca promuove costantemente studi sui metodi di valutazione dei servizi di prevenzione.
La figura più nota di questo settore è senza ombra di dubbio il medico del lavoro. Ma l’infermiere? Avete mai sentito parlare di infermiere della medicina del lavoro, o definito in maniera anglosassone infermiere occupazionale (occupational nurse)? In numerose realtà internazionali è una figura realmente riconosciuta e ben insediata nel sistema sanitario, come pure quello sociale. In Italia esiste in maniera ufficiosa, in quanto presente in innumerevoli realtà private in convezione con varie aziende lavorative, e si auspica soprattutto ad una vera identificazione nel contesto sanitario italiano. Ma di cosa si occupa?
Nella nostra realtà nazionale l’infermiere della medicina del lavoro acquisisce un ruolo chiave nell’esecuzione dei vari accertamenti per l’idoneità lavorativa, che vanno dall’esecuzione di prelievi ematici fino alle valutazioni strumentali insieme al personale medico specializzato. Sempre insieme a quest’ultimo, la figura infermieristica ha il compito dell’educazione sanitaria del lavoratore in ogni aspetto, e soprattutto alla formazione in contesto di prevenzione per gli incidenti sul lavoro. In quest’ambito parliamo di formazione congiunta con il medico per il corso di primo soccorso (di durata variabile a seconda dell’identificazione dell’azienda in base ai rischi lavorativi), come pure di formazione autonoma per il corso di BLSD e PBLSD (secondo quanto stabilito dalla L.120/01).
In tutto ciò l’infermiere della medicina del lavoro in maniera sinergica con il resto dell’equipe del settore, ha la responsabilità di gestire l’apparato burocratico sanitario che vi è dietro l’idoneità del lavoratore. I principali contesti normativi a cui questa figura fa riferimento in quest’ambito lavorativo sono il D.Lgs. 81/08 (ex D.Lgs 626/94), il D.M. 388/03.
In contesti sanitari diversi da quello italiano, l’occupational nurse, non s’occupa solo ed esclusivamente del settore in questione sotto l’aspetto clinico; ma è partecipe anche alla ricerca; particolari sono i seguenti casi:
- “Workplace Violence, prevention efforts by the occupational health nurse”, studio eseguito da un pool d’infermieri e medici della medicina del lavoro in California, e incentrato sulla prevenzione negli ambienti di lavoro di una tematica cruciale negli States, quale gli episodi di violenza nei luoghi pubblici, e fattispecie nei luoghi di lavoro, e come gestirli.
- “Defining the Roles and Functions of Occupational Health Nurses in Japan, results of Job Analysis”, studio descrittivo eseguito in Giappone in cui s’approfondisce la figura dell’occupational nurse nel quadro sanitario nipponico.
- “Occupational Health Nursing Practice, Education, and Research in Korea, an International Update”, anch’esso uno studio sulla prospettiva lavorativa dell’infermiere della medicina del lavoro nel contesto coreano.
Un documento di grande importanza che può essere di riferimento per conoscere adeguatamente questa figura è il testo ufficiale promosso dal WHO Regional Office for Europe. Qui in allegato potrete averne visione.
Spero di essere stato esaustivo. In questi tempi di cambiamento, e soprattutto di rinnovo della nostra categoria lavorativa, è necessario avere la voglia di spingerci al miglioramento, di conoscere, e soprattutto di riscattarci come professionisti competenti, adeguandoci ai nostri colleghi delle altre nazioni.
Pasquale Fava
ALLEGATO: WHO – Regional Office Europe Occupational Nursing
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