Riportiamo di seguito un caso che ha riguardato un professionista della salute morto anni fa per l’eccessivo lavoro che era obbligato a svolgere dal proprio datore di lavoro.
L’Asl è stata condannata a risarcire i famigliari di un tecnico sanitario di radiologia medica deceduto a soli 30 per infarto del miocardio acuto.
Giuseppe Rubio, questo era il nome del dipendente in servizio presso l’ospedale di Nicosia. Negli otto anni di attività lavorativa aveva eseguito insieme a soli altri quattro colleghi ben 148.513 esami diagnostici, con una media di 18.564 all’anno, tra i quali quasi cinquemila Tac.
Questi numero spropositato avrebbe potuto essere raggiunto, secondo i giudici, solo ricorrendo a massicce dosi di straordinari, turni massacranti diurni e notturni e un ricorso alla reperibilità costante. In aggiunta, durante l’orario lavorativo, era necessario spostarsi da una struttura all’altra per sottoporre i pazienti alle procedure, percorrendo oltre 700 metri all’aperto anche durante i rigidi mesi invernali.
I parenti del professionista vinsero la causa in primo grado nel 2010. Nell’anno successivo però, il tribunale di Caltanissetta ribaltò la sentenza specificando come ritenessero l’azienda ospedaliera esente da colpe.
Ma un nuovo colpo di scena è avvenuto pochi giorni fa. L’8 giugno 2017 infatti la Corte di Cassazione ha stabilito che l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. L’azienda sanitaria, secondo i giudici, avrebbe dovuto prevedere che sottoponendo a “super lavoro” quel radiologo lo avrebbe esposto ad un possibile danno.
“Era un principio già fissato dalla Cassazione – spiega il legale della famiglia Ruberto, Giuseppe Agozzino – ma ora viene riconosciuto che le condizioni di super lavoro, dovute per soddisfare le esigenze del datore di lavoro, se creano un danno devono essere risarcite. Ed è irrilevante che il lavoratore non si sia mai lamentato di quella situazione, cosa che l’Asp aveva rilevato a propria difesa”.
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