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Microchip nei camici: “Introdotti per evitare di perdere gli indumenti e controllare che i lavaggi siano avvenuti”

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Lo stato di agitazione dei 22.000 dipendenti della sanità ligure non sembra avere fine. Nessuno appare essere contento di avere un microchip cucito all’interno della divisa

E’ stato un sindacalista, il primo a scoprire questa presenza definendo l’accaduto come «un modo illegale per controllare i dipendenti»; catalogandolo come «una violazione della privacy».

Il sindacalista con l’aiuto di alcuni colleghi ha scritto una lettera alle Asl dichiarando come il personale sia «turbato per aver appreso casualmente della presenza di questo insolito oggetto identificativo».

I dirigenti ASL avrebbero immediatamente risposto negando che il chip sia uno strumento di controllo del personale: «Il camice e il microchip identificano la persona, sono associati a un dipendente. Questo permette, una volta lavato, che torni al proprietario, evitando che possa finire ad altri», spiega il direttore della Asl 3 (Genova), Luigi Bottaro.

Anche Giovanni La Valle, direttore sanitario dell’ospedale San Martino, uno dei più grandi d’Italia si è espresso sulla vicenda: «È stato introdotto per evitare di perdere gli indumenti e controllare che i lavaggi siano avvenuti».

Ma i sindacalisti sembrano non voler credere a nessuno dei due.

I camici con microchip sarebbero stati introdotti conclusa una gara di appalto da 66 milioni di euro per il lavaggio di tutti gli indumenti da lavoro degli ospedalieri; la gara, per la durata di 48 mesi, è stata vinta dalla ServiziItalia di Parma.

Si tratterebbe quindi si un’idea del direttore di Alisa, la Asl della Liguria, Walter Locatelli. Il manager arrivato dalla sanità lombarda, aveva già utilizzato un sistema simile per il controllo dei lavaggi in passato.

Anche la Regione è intervenuta attraverso le parole di Sonia Viale: «È solo per evitare sprechi»

L’assessore alla Sanità, Sonia Viale, ha spiegato come «il capitolato della gara per la fornitura a noleggio di biancheria (lenzuola, camici, divise) è chiarissimo: l’obiettivo del microchip è garantire un efficientamento del sistema per evitare sprechi e “dimenticanze” dei camici al di fuori degli ospedali, assicurando una corretta contabilizzazione dei materiali forniti, una maggiore sicurezza rispetto alle norme igieniche e antincendio, una maggiore qualità dei tessuti anche a garanzia del decoro delle divise e della biancheria utilizzate.

Dalle informazioni acquisite, questo sistema risulta già diffuso in molte regioni d’Italia (Emilia Romagna, Lazio, Toscana, Lombardia, Veneto e Piemonte, ndr), proprio per evitare sprechi e ammanchi.

Data la delicatezza della materia, al di là della precisione delle finalità descritte chiaramente nel capitolato, ho comunque già disposto ulteriori approfondimenti, a garanzia di tutto il sistema».

Anche Locatelli ha spiegato che «il codice a barre si è rivelato insufficiente e non idoneo a garantire la correttezza dei dati, generando quindi sprechi.

Al contrario, il microchip consente di sapere sia quando il camice viene ritirato dalla ditta che effettua il servizio di lavanderia e poi riconsegnato al dipendente; sia, di conseguenza, quanti cicli di lavaggio l’indumento subisce, visto che dopo un certo numero deve essere sostituito.

Questi tessuti sono garantiti per un numero massimo di lavaggi eseguiti in un determinato modo e con specifici prodotti.

Un numero superiore di lavaggi, oppure lavaggi “casalinghi”, che non rispettino le procedure, potrebbero fare perdere le caratteristiche di “barriera” alle infezioni, a garanzia sia dell’operatore sia del paziente.

Il nuovo sistema garantisce anche il rispetto delle norme di sicurezza e antincendio in base alle quali il materiale ospedaliero; in particolare delle sale operatorie o di alcuni reparti, debba essere lavato esclusivamente con determinati prodotti».

Il M5S ha espresso la propria opinione con un breve comunicato della portavoce, Alice Salvatore: «Solidarietà ai lavoratori e sdegno per la scelta di Locatelli di infilare i microchip nei camici degli operatori sanitari a loro insaputa. Una condotta gravissima, su cui indagheremo a fondo per valutarne i profili legali in termini di privacy».

Secondo Raffaella Paita, Pippo Rossetti, Giovanni Lunardon e Valter Ferrando, consiglieri regionali del Pd, «l’inserimento di un microchip nelle divise dei dipendenti Asl della Liguria è un fatto delicato su cui chiediamo al più presto la massima chiarezza. È grave che sia accaduto nel silenzio generale. Chiediamo che l’assessore Viale esponga al consiglio Regionale che cosa sta accadendo».

«Questo provvedimento, anche se fosse utilizzato per restituire senza errori i capi usciti dalla lavanderia, come dichiarano i direttori degli ospedali, è in ogni caso potenzialmente lesivo della privacy dei lavoratori; i cui spostamenti possono essere intercettati e monitorati minuto per minuto.

Siamo stupiti che una decisione che consente la raccolta di dati sensibili non sia stata oggetto di un accordo sindacale e di una opportuna informativa dei dipendenti».

Simone Gussoni

Fonti: Il Secolo XIX

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