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“Mi serve un’ambulanza”: quanti falsi allarmi

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Riprendiamo dal Corriere della Sera un viaggio notturno per le strade della periferia nord di Milano.

La fasciatura attorno al braccio dell’uomo, un 35enne del Centro America appena feritosi spaccando il vetro di una finestra durante un festino tra sbandati, contiene a stento il sangue che fuoriesce dall’arteria lacerata. C’è da correre “in sirena” al Niguarda, con il paziente a bordo che straparla, strafatto, con le pupille ridotte a due minuscoli fori scuri. Sono le 11 della notte di San Lorenzo, e per la squadra di soccorso di Intersos non c’è tempo di guardare le stelle. Ma questa uscita in codice giallo sarà di fatto l’unica con reali requisiti d’urgenza, in dodici ore vissute in prima linea tra i palazzi della periferia nord di Milano.

Ben diverso, infatti, è lo scenario, quando a chiamare è un giovane con problemi intestinali, o una signora con una crisi d’asma, o un anziano affannato per il caldo opprimente. Casi in cui il trasporto in ospedale è forse più dettato dalla paura (o dalla solitudine) che da reali necessità mediche. Su sette interventi notturni, cinque sono codici verdi, o addirittura bianchi. Quando parte la chiamata si apre l’intervento e, se il richiedente vuole essere portato in ospedale, il personale non può rifiutarsi.

E questa è la missione (e la vita) di gente come Ezio, il “veterano” con anni di servizio a sirene spiegate in ogni angolo della città. O come Yuri, l’ex animatore dal fisico possente, che macina chilometri sulle scale di palazzi fatiscenti, carico di attrezzature e zaini che sulle sue spalle sembrano leggeri, e che invece non lo sono affatto. E di Rosanna, il capo equipaggio: una mamma che ha lasciato la scrivania e il lavoro impiegatizio per stare in questa sorta di trincea di strada e di corridoi di pronto soccorso, e che nel lavoro ha maturato un esperienza tale che il suo approccio al paziente, ormai, sembra quello di un medico.

Di notte, o di giorno, lavorano per Intersos, cooperativa sociale che solo su Milano arriva a mettere in strada fino a cinque squadre di soccorso in orario diurno e quattro di notte, a parte gli altri mezzi impegnati in servizi socio-sanitari. La notte di Ezio, Yuri e Rosanna comincia quando c’è ancora luce, alle 19. Nemmeno il tempo di finire il controllo dell’ambulanza, prassi consolidata, che già bisogna partire. Prima uscita in zona Ca’ Granda. C’è da prestare supporto a un’altra squadra, in difficoltà nel trasporto di una signora anziana, giù per le strette scale di servizio di un palazzo degli anni Sessanta.

Il tempo di un caffè e arriva la seconda chiamata. Quella per Giorgio. Almeno così dice di chiamarsi, l’uomo che i soccorritori trovano nel parcheggio del Niguarda. Si tiene il volto fra le mani, ingobbito su una sedia a rotelle. Una vecchia valigia sulle gambe e l’odore insopportabile di una vita vissuta oltre i margini. Straniero, niente documenti, parla a stento: un “fantasma”. A Niguarda, dove si era presentato al mattino per abuso etilico, lo avevano appena lasciato andare. Ma qualcuno lo ha visto, ha chiamato l’ambulanza e così rientra per perdersi in qualche angolo a fissare il vuoto.

Alle 21:30 ci si sposta a Bollate. La casa dell’87enne cardiopatico è un forno. Accusa un certo affanno. La moglie ha chiamato la Guardia medica, che ha suggerito di rivolgersi al 118. Il tempo del trasporto in ambulanza, con l’aria condizionata, e il volto del anziano riprende colore. Ma i medici della clinica San Carlo di Paderno, a quel punto, devono prenderlo in carico. Ha solo 24 anni, invece, il ragazzo dall’alimentazione disordinata con i crampi allo stomaco. Stesso copione: prima la telefonata alla Guardia medica, poi l’ambulanza. Lo portano a Città Studi. Sarà così anche per una signora asmatica (codice bianco al “Sacco”), e per un ragazzo con un orzaiolo, che chiede l’uscita alle 4 del mattino.

Gli operatori, ovviamente, non sottovalutano nulla a priori. Ma la sensazione, confermata anche dai responsabili di Intersos, è che l’ambulanza troppo spesso sia scambiata per una sorta di “servizio taxi”, nell’erronea convinzione che l’arrivo col mezzo di soccorso dia diritto a qualche priorità all’accettazione. «Veniamo chiamati anche per un semplice dolore al collo, per una gastrite o per qualche difficoltà digestiva». Poi ci sono i momenti di adrenalina, come quello del latinoamericano che gronda sangue dopo aver devastato casa in via Moneta. Lo portano a Niguarda, dove c’è ancora Giorgio, il “fantasma” in sedia a rotelle. Seduto, a guardare il nulla.

Redazione Nurse Times

Fonte: Corriere della Sera

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