Singolare vicenda in Veneto. Il paziente ha ricevuto la visita dell’Usca solo dopo essere stato salvato in extremis all’ospedale Sant’Antonio di Padova. L’attesa è durata 25 giorni. Ora chiede un risarcimento, ma l’Ulss 3 Serenissima non ci sta.
È positivo al coronavirus, ma il medico di base è irreperibile e le Usca (Unità di continuità assistenziale) lo visitano a domicilio solo dopo 25 giorni, quando è stato già ricoverato e dimesso dalla Terapia intensiva dell’ospedale Sant’Antonio di Padova, dove il personale sanitario è riuscito a salvargli la vita in extremis.
Un’autentica odissea, quella vissuta da un 57enne di Pianiga (Venezia), che ha deciso di rivolgersi a Studio3A-Valore S.p.A, società specializzata nel risarcimento danni, che si è già mossa per acquisire la sua documentazione clinica ed esporre quanto accaduto agli organi competenti per far luce sulle eventuali responsabilità del medico di base.
Il calvario dell’uomo, riportato dallo stesso Studio3A, inizia nei primi giorni di dicembre, quando scopre di essere stato in contatto con una persona positiva al Covid-19. Il 57enne prova quindi a contattare il suo medico di base, anche perché gli è salita la febbre a 38. In pochi giorni il paziente effettua ben 34 telefonate al suo dottore, che gli risponde solo tre volte.
Non solo, pare impossibile ottenere il tampone e la moglie è costretta a rivolgersi alla guardia medica di Peraga (Padova), dove riesce a ottenere la fatidica ricetta per poter effettuare il test, a cui l’uomo si sottopone all’ospedale di Camposampiero (Padova). L’esito, però, tarda ad arrivare, e così l’uomo, il 9 dicembre, ricontatta il suo medico di base, al quale l’Usl ha l’obbligo di comunicare l’esito del test che anche stavolta è irreperibile. L’uomo lo chiama nove volte, senza mai avere risposta, fino a quando riesce a parlare con la segretaria, che gli comunica l’esito del tampone: positivo.
Il giorno dopo il 57enne viene ricontattato dal suo medico, che gli comunica che il 17 dicembre dovrà sottoporsi a un nuovo tampone all’ospedale di Dolo (Venezia) e gli prescrive due antibiotici, del cortisone e delle iniezioni di Eparina. Ma il giorno successivo le condizioni del paziente peggiorano ulteriormente. Chiama così, di nuovo, il suo medico di base, che stavolta gli risponde, assicurandogli che contatterà le Usca e che queste arriveranno a casa sua prima possibile.
Nei giorni successivi, però, non si presenta nessuno e la febbre sale a 40. Così lunedì 14 l’uomo ricontatta il suo medico, che gli promette di richiamare le Usca. Il giorno dopo non si vede ancora nessuno. Il 15 dicembre l’uomo chiama quindi il 118 e viene trasportato al Pronto soccorso di Camposampiero, dove i medici capiscono la gravità della situazione e lo trasferiscono all’ospedale di Padova, in Terapia intensiva.
La sua saturazione di ossigeno scende al 20 percento, ma i medici riescono comunque a salvarlo per i capelli. Dopo una settimana di ricovero, e dopo aver rischiato la vita, il 57enne viene dimesso il 5 gennaio. Torna a casa, provato nel fisico. E arriva la beffa: il giorno dopo, il 6 gennaio, l’Usca viene a visitarlo a casa, ben 25 giorni dopo la mail che il suo medico avrebbe inviato all’Unità speciale. L’uomo si rivolge alliora a una società specializzata nel risarcimento danni per accertare responsabilità e colpe di quanto subito.
In serata l’ufficio stampa dell’Ulss 3 Serenissima ha diramato un comunicato di replica, che recita: “Il paziente è domiciliato fuori dall’Ulss 3, e quindi non è di competenza dell’Azienda sanitaria. Quanto all’operato dei medici Usca, l’Ulss 3 assicura sempre, dalla richiesta fatta dal medico curante, la presa in carico del paziente a domicilio, se non nell’immediato, in brevissimo tempo secondo le esigenze cliniche del paziente. La prima richiesta di visita a domicilio da parte degli Usca, pervenuta dal medico di base a beneficio del suo assistito risale al 14 dicembre. Il 17 dicembre, però, il paziente è stato ricoverato”.
E ancora: “I medici Usca, avvertiti del ricovero, sono comunque intervenuti dopo le dimissioni dell’utente avvenute il 5 gennaio, su indicazione dello stesso medico di base e dei medici che l’hanno avuto in cura all’ospedale, per una scrupolosa visita di controllo il 6 gennaio, pur essendo domiciliato fuori Ulss. Questo è avvenuto perché il paziente è stato dimesso ma non ancora negativizzato, quindi bisognoso, secondo quanto scritto nella stessa lettera di dimissioni dell’ospedale, di una visita domiciliare a distanza di pochi giorni per controllare le sue condizioni di salute. Oltre a verificare se esistano eventuali ritardi imputabili alla presa in carico del paziente da parte del medico di base, l’Azienda sanitaria si riserva di difendersi nelle sedi opportune da ricostruzioni distorte dei fatti”.
Redazione Nurse Times
Fonte: Corriere della Sera
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