Il riconoscimento è andato a William G. Kaelin, Peter J. Ratdiffe e Gregg L. Semenza.
Qualcuno l’ha definito il Nobel al “respiro delle cellule”. In effetti è un po’ così: William G. Kaelin, americano 62enne, Peter J. Ratdiffe, inglese (classe 1954), e Gregg L. Semenza, anche lui americano (del 1956), hanno ottenuto il riconoscimento, assegnato ogni anno dall’assemblea del Karolinska Institutet di Stoccolma, per le loro scoperte su “come le cellule rilevano e si adattano alla disponibilità di ossigeno” (così recita la motivazione ufficiale).
Il premio, che negli ultimi tempi ha privilegiato le ricerche in campo medico, quest’anno va alla fisiologia. Ma non solo. In questa edizione va anche, indirettamente, a tre centri di ricerca, tra i più importanti al mondo, dove i vincitori attualmente lavorano: l’Harvard Medical School di Boston (e l’affiliato Dana Farber Institute per la cura dei tumori) dove è full professor Kaelin, la Oxford University per Ratcliff e la Johns Hopkins University di Baltimora per Semenza. Sono istituti che possono permettersi quella ricerca di base che non ha immediate ricadute nella pratica clinica, ma è fondamentale per il progresso delle scienze.
Ma torniamo al lavoro del trio premiato, al “respiro delle cellule”e all’ossigeno, l’elemento senza il quale non c’è vita animale o quasi. Tutti lo sanno. Soltanto certi batteri chiamati anaerobi possono sopravvivere senza questo elemento, o altri microrganismi, scoperti qualche anno fa, che vivono nelle profondità degli abissi marini. E non a caso le missioni spaziali sulla Luna o su Marte, da sempre, cercano come prima cosa l’acqua perché contiene, insieme all’idrogeno, l’ossigeno. Ma capire, poi, come l’ossigeno possa “dialogare” con le cellule del corpo umano e le faccia vivere è cosa un po’ più complicata.
Il lavoro dei tre ricercatori è andato proprio in questa direzione. E ha chiarito come, per esempio, l’organismo reagisca all’ipossia, cioè alla mancanza di ossigeno: quando si trova in cima a una montagna (dove l’aria è rarefatta) o quando corre una maratona e i muscoli si trovano, appunto, in debito di ossigeno per lo sforzo. Una delle risposte alla carenza di questo elemento, per dire, è una maggiore produzione di globuli rossi, che captano l’ossigeno dall’aria inspirata nei polmoni e lo trasportano fino ai tessuti.
Ma non solo. Ci sono anche malattie che hanno a che fare con l’ossigeno. Una è l’anemia legata all’insufficienza renale cronica. In questo caso viene a mancare un ormone, l’eritropoietina, che stimola la produzione di globuli rossi. Data come farmaco a questi pazienti, li aiuta, ma l’eritropoietina viene usata anche come doping dagli atleti per aumentare la produzione di globuli rossi e ricavarne migliori performance, e qui può fare danni. È questo il lato oscuro della scienza “deviata”. Secondo esempio, i tumori: per crescere hanno bisogno di ossigeno, ed è per questo che stimolano la produzione di nuovi vasi sanguigni (neoangiogenesi). Oggi alcune terapie antitumorali si basano sul blocco di questo fenomeno. Così il tumore rimane senza ossigeno e muore.
I tre Nobel hanno documentato tutto questo andando a studiare enzimi, ormoni, geni e le loro complesse interazioni, difficili da spiegare, ma documentate in una serie di lavori pubblicati nella letteratura scientifica. Adesso raccolgono il frutto delle loro ricerche. Il premio in denaro di circa 835 mila euro sarà suddiviso in parti uguali.
Redazione Nurse Times
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