Si stima un raddoppio della prevalenza della fibrillazione atriale entro il 2050.
Le malattie cardiovascolari si confermano prima causa di morte in Italia, responsabili di circa il 40% di tutti i decessi, e negli ultimi anni hanno ripreso a correre dopo una fase di deflessione della loro incidenza. Questi dati, uniti alle dinamiche demografiche che vedono l’Italia come il secondo Paese più anziano del mondo, impongono l’esigenza di apportare modifiche nel percorso clinico dei pazienti cardiopatici.
Questi temi sono stati al centro del XVI Congresso Nazionale di Cardiogeriatria, tenutosi a Roma il 15 e il 16 novembre e presieduto dal professor Lorenzo Palleschi, presidente della Società Italiana di Geriatria Ospedale e Territorio (Sigot), direttore dell’Uoc di Geriatria dell’Azienda Ospedaliera San Giovanni-Addoloratadi Roma, e il professor Francesco Vetta (foto grande), direttore UOC di Cardiologia Utic dell’ospedale di Avezzano e professore di Cardiologia all’Unicamillus.
LE MALATTIE CARDIOVASCOLARI IN AUMENTO
Negli ultimi anni un’efficiente organizzazione sanitaria, grazie a strutture come le unità di terapia intensiva cardiologica e i laboratori di emodinamica, era riuscita a garantire un buon controllo delle patologie cardiovascolari e quindi anche una riduzione della mortalità complessiva. Tuttavia gli ultimi dati consegnano un quadro nuovamente allarmante, con aumento delle cardiopatie ischemiche, dell’insufficienza cardiaca, degli stroke.
“Stiamo assistendo a una nuova impennata delle patologie cardiovascolari, che è destinata ad accentuarsi nei prossimi anni – sottolinea il professor Vetta -. La prevalenza della fibrillazione atriale, ad esempio, era dell’1% all’inizio degli anni 2000, attualmente è del 2% e si stima che possa raddoppiare entro il 2050. Le patologie cardiovascolari, pertanto, sono destinate a rimanere la principale causa di morte nel nostro Paese, visto anche il rapporto di causalità tra l’età e queste malattie, che si inserisce su una popolazione in continuo invecchiamento”.
Sempre Vetta: “Nelle persone con più di 70 anni, infatti, in oltre l’80% dei casi ci sono più di tre comorbidità. Lo scompenso cardiaco, ad esempio, è una patologia prettamente geriatrica e in Italia ne soffrono circa 600mila persone: la sua prevalenza è dieci volte maggiore nella popolazione over 80 rispetto alla classe di età 40-59 anni; nel 98% dei casi è accompagnato da altre comorbidità. In base a questi dati si intuisce la necessità di intervenire in maniera sistematica con programmi di screening cardiovascolari nei soggetti con più di 65 anni, mentre invece ad oggi questi si fermano intorno ai 50 anni”.
UN’ITALIA SEMPRE PIÙ VECCHIA
I dati Istat rilevano che tra il 1880 e il 2020 c’è stato un incremento della popolazione da 30 a 60 milioni di abitanti, ma le proiezioni sul periodo che va dal 2020 al 2070 delineano una riduzione di oltre 10 milioni di persone in virtù del rapporto tra nascite e decessi, che lascia pensare a un Paese sempre più anziano.
“Oltre alle patologie cardiovascolari, aumenteranno anche i soggetti anziani su cui queste si innestano – evidenzia Vetta -. Servono dunque percorsi di prevenzione con un approccio multifattoriale e una serie di programmi dinamici di screening gratuiti per i soggetti over 65″.
E ancora: “Queste iniziative non devono essere sporadiche, ma devono essere strutturate in un percorso sanitario, che possa garantire la tutela della salute e parallelamente anche un risparmio economico per il Ssn, che può essere garantito da una riduzione di comorbidità e disabilità. Si pensi, infatti, che in Italia le disabilità sono pari a circa 4 milioni, ossia l’8% delle persone sono disabili, mentre la prevalenza di cittadini affetti da invalidità cardiovascolare è pari al 4 per mille, con capacità di incidere sulla spesa farmaceutica per quasi il 25%. Abbiamo necessità di sviluppare una prevenzione della disabilità”.
TECNOLOGIA E INTELLIGENZA ARTIFICIALE PER MONITORARE E PREVEDERE GLI EVENTI CARDIOVASCOLARI
Nella definizione di nuove strategie di prevenzione in ambito cardiovascolare, un ruolo determinante può essere giocato dalla tecnologia, le cui innovazioni si rivelano particolarmente appropriate all’ambito cardiologico.
“La digitalizzazione in cardiologia – spiega Vetta – permette di telemonitorare il paziente da remoto mediante device impiantati e strumenti di telemedicina, che possono inviare ai medici continue informazioni su frequenza cardiaca, pressione arteriosa, saturometria. Lo specialista può valutare l’andamento della terapia e intervenire se necessario. Senza appesantire il carico ambulatoriale, si mantiene un contatto continuativo con i pazienti che evita situazioni di rischio”.
Conclude Vetta: “Inoltre, grazie alle valutazioni multiparametriche di defibrillatori e device o con l’applicazione dell’intelligenza artificiale su esami come l’elettrocardiogramma, sarà possibile capire quando si stiano sviluppando i sintomi di insufficienza cardiaca, prevedendo così il rischio di una riacutizzazione dello scompenso cardiaco con un anticipo di diverse settimane, una tempistica ampiamente sufficiente per intervenire con immediatezza sulla terapia. Nella nuova organizzazione dunque la tecnologia sarà fondamentale e favorirà l’applicazione di sistemi di precisione per una prevenzione su misura, dedicata a ogni singolo paziente”.
Redazione Nurse Times
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