Luigi D’Onofrio, infermiere abruzzese, emigrato nel Regno Unito intervistato dalla nostra redazione
Grazie Luigi per averci concesso questa intervista. Da quanto tempo vivi nel Regno Unito e dove lavori?
Mi sono trasferito nel gennaio 2015 a Londra, dove ho sempre lavorato per il Moorfields Eye Hospital, un ospedale oculistico, dapprima presso la sede distaccata del St.George’s Hospital e da qualche mese nel Pronto Soccorso oculistico (A&E) della sede centrale.
Perché hai deciso di trasferirti in Inghilterra?
Ho provato diverse esperienze di lavoro nella mia regione di origine, l’Abruzzo, ma sempre precarie. Ho anche aperto una partita IVA e lavorato in proprio, sul territorio e poi in ospedale, per un paio d’anni. Avendo realizzato che le prospettive non solo non si ampliavano, ma stavano per esaurirsi, ho scelto la strada dell’emigrazione e, tra i concorsi pubblici al Nord e l’avventura all’estero, ho provato prima la carta inglese. È andata bene da subito, ho inviato un solo curriculum e sono stato chiamato per il colloquio dopo tre giorni.
Come ti trovi in Inghilterra? Consiglieresti questa scelta ai tuoi colleghi?
Personalmente mi sono sempre trovato bene per il Trust per cui lavoro. Ho ricevuto fin dall’inizio un’ottima accoglienza ed ancora oggi vi sono colleghi e superiori che mi incentivano a fare carriera, tanto che sto già seguendo un master di specializzazione in infermieristica oftalmologica, interamente finanziato dal mio ospedale.
L’NHS, il sistema sanitario pubblico nazionale, è inoltre praticamente identico a quello italiano, quindi adattarsi non è difficile. I due sistemi sono infatti fondati sugli stessi principi organizzativi; questo è uno dei motivi per cui ho creato il blog “Il mio Regno per un infermiere”.
Volevo e voglio raccontare e mettere a paragone le due realtà. Questo significa però che l’NHS presenta anche criticità molto simili a quelle del SSN, tra cui croniche carenze organiche. Vivere in una megalopoli come Londra, inoltre, presenta i suoi pregi ed i suoi difetti, così come lavorare per un ospedale di una piccola città ne ha altri. È inoltre indispensabile una buona conoscenza dell’inglese, altrimenti non si va da nessuna parte.
Consiglio quindi a chi vuole tentare questa strada di pensarci cento volte, ma di viverla non per forza come una fuga, ma come un’opportunità straordinaria di arricchimento professionale. I medici effettuano esperienze di studio e di lavoro all’estero da decenni, mentre l’ondata degli infermieri, soprattutto in Inghilterra e Germania, è iniziata solo cinque anni fa, in concomitanza della crisi economica; perché nel nostro caso, tuttavia, si dovrebbe parlare solo ed esclusivamente di emigrati in fuga?
Quali cambiamenti ha generato il Brexit?
Per ora nessuno, soprattutto a livello lavorativo. Il Regno Unito ha fame di infermieri ed in generale di professionisti validi, per cui mantiene e credo manterrà sempre le porte aperte agli immigrati qualificati provenienti dall’Unione Europea, a dispetto delle affermazioni, spesso un po’ “teatrali”, di alcuni suoi Governanti.
Per quanto riguarda gli infermieri, però, vi è stato un crollo nell’afflusso, determinato dall’obbligo di certificazione linguistica per l’iscrizione al Registro, introdotto nel gennaio 2016. È uno scoglio importante che onestamente nemmeno io, all’inizio della mia esperienza, sarei riuscito a superare.
Ti piacerebbe tornare?
Solo con un contratto a tempo indeterminato già firmato dal datore di lavoro ed uno stipendio decente. Un sogno quasi irrealizzabile. Per questo prevedo di rimanere ancora a lungo, per tentare di realizzare molti progetti che ho in mente.
Credo, in tutta sincerità, che sia più probabile che, se un giorno accetterò di tornare a lavorare in Italia, sarà perché mi avranno proposto un lavoro diverso da quello di infermiere, che però amo ed esercito per scelta e non per costrizione.
Ma si sa, a volte la vita segue binari imprevedibili. 15 anni fa, di questi tempi, discutevo la mia tesi in Giurisprudenza…
Massimo Randolfi
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