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Lombardia, mancano gli anestesisti-rianimatori. Bertolaso: “Chiamiamo gli specializzandi”. Siaarti non ci sta: “Sicurezza a rischio”

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Lombardia, mancano gli anestesisti-rianimatori. Bertolaso: "Chiamiamo gli specializzandi". Siaarti non ci sta: "Sicurezza a rischio"
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Guido Bertolaso, assessore al Welfare della Regione Lombardia, ha lanciato una proposta che fa discutere: far seguire gli interventi chirurgici da anestesisti-rianimatori ancora in formazione. Il motivo? Far fronte alla carenza di tali figure, le più difficili da reclutare. Proposta che non vede d’accordo la Società italiana di anestesia, analgesia, rianimazione e terapia intensiva (Siaarti), la quale solleva una questione di sicurezza in sanità e in sala operatoria.

“Non abbiamo mai ritenuto una soluzione quella di coprire la carenza di anestesisti-rianimatori con medici a gettone – dichiara Antonino Giarratano, presidente Siaarti -, ma comunque specialisti, non solo perché ciò crea una disparità di trattamento economico che favorisce la migrazione verso il privato e una ‘concorrenza sleale’ nei confronti di chi lavorava nel pubblico, ma anche e soprattutto perché avere colleghi a ore non può assicurare continuità all’assistenza perioperatoria, e quindi non garantisce sicurezza ai nostri pazienti”.

Prosegue Giarratano: “Con i suoi oltre 10mila soci anestesisti-rianimatori e il suo riconoscimento come società scientifica da parte del ministero della Salute in base alla Legge Gelli, Siaarti fa dell’applicazione delle buone pratiche cliniche, della ricerca scientifica e della garanzia della sicurezza dei pazienti la sua mission, e quindi non vuole travalicare il suo ruolo, entrando nell’organizzazione del lavoro, ma ritiene suo dovere rivolgere alla politica e ai cittadini un alert chiaro: fino a che punto la mancata programmazione e la carenza di specialisti possono spingere a non garantire più la sicurezza dei pazienti?”.

Siaarti precisa che condivide e sostiene da sempre la necessità di una formazione in ospedale e il progressivo inserimento dei medici in formazione, ma ritiene che non si debbanoa nticipare troppo i tempi.

“L’idea di estendere il loro inserimento dal secondo anno, quando la loro formazione è appena cominciata – spiega il presidente Siaarti – non è però condivisa neanche dalla stragrande maggioranza dei medici in formazione, che sentendosi, con intelligenza, impreparati, non partecipano a concorsi che li sottrarrebbero, completamente e precocemente, dal percorso formativo”.

E ancora: “Adesso si parla di sostituire lo specialista anestesista-rianimatore, dando allo specializzando autonomia in sala operatoria, nel luogo dove la procedura di gestione delle funzioni vitali e la improvvisa insorgenza delle complicanze anche chirurgiche richiedono il massimo della esperienza e della competenza. Senza, peraltro, che sia chiaro chi stabilirà il livello di autonomia, quali siano la tipologia di intervento chirurgico e di procedura anestesiologica a cui si fa riferimento”.

Secondo Siaarti, inoltre, la soluzione alla carenza di anestesisti rianimatori in Italia non può essere quella di un tutor specialista che, anche con un’integrazione stipendiale, si assuma “a distanza” la responsabilità per il paziente in sala operatoria.

“La sicurezza del cittadino/paziente non può essere garantita dal pagamento di un gettone prima o di uno specialista ‘a distanza’ adesso – dice il presidente Siaarti -. In caso di contemporanea complicanza intraoperatoria dove andrà lo specialista? I cittadini sanno che, se tale provvedimento passasse, si troverebbero in sala operatoria un non specialista con una esperienza limitata? Chi firmerà il consenso informato? E come sarà gestita la copertura anche assicurativa?”.

Conclude Siaarti: “La questione, peraltro, non può essere limitata a una Regione o a un dibattito con organizzazioni sindacali, ma deve vedere coinvolte su base nazionale, affinché non si crei un’autonomia ‘a sicurezza differenziata’, le società scientifiche che, in termini di elaborazione di buone pratiche cliniche, sono il riferimento per il ministero e le università, ossia le Istituzioni che ancora oggi certificano le competenze acquisite dai nostri medici in formazione”.

Redazione Nurse Times

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