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L’Italia si svuota: raddoppiano i laureati che emigrano, infermieri al primo posto

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L’Italia si svuota: raddopp
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Giungono pessime notizie dal quinto rapporto Istat sul Benessere Equo e Sostenibile, presentato alcuni mesi fa.
L’Italia spende, secondo le stime Ocse, circa il 4% del proprio Pil per il ciclo di istruzione dei propri cittadini. L’importo complessivo supererebbe i 69 miliardi di euro, 20 volte superiore alla famigerata Imu-Tasi sulla prima casa, ormai abolita.

La spesa pubblica complessiva per un singolo giovane che concluda l’Università ammonterebbe a circa 100.000 euro.

Ma la notizia davvero allarmante giungerebbe dal rapporto “BES”, che analizza la qualità del benessere equo e sostenibile. Grazie agli indicatori presenti, viene analizzata anche la capacità del Paese di trattenere i talenti valutando la mobilità dei laureati.

Dall’analisi del rapporto tra il saldo migratorio dei laureati e il corrispondente stock di residenti con riferimento ai soli italiani in età 25-39 anni, fascia di età in cui il potenziale innovativo dei laureati è particolarmente elevato, emergerebbero dati allarmanti.

Da oltre due anni il saldo migratorio dei giovani laureati italiani non solo è negativo, con la perdita di circa 10mila “cervelli”, ma rappresenta quasi il doppio di quello registrato nel 2012.

Come hanno sottolineato su Neodemos le ricercatrici Istat Maria Pia Sorvillo e Francesca Licari, «alla lieve ripresa economica partita nel 2015 e confermata nel 2016 (con un aumento del Pil rispettivamente pari a +0,8 e +0,9%) non corrisponde una inversione nelle tendenze migratorie, e anzi rispetto al 2015 il tasso è in ulteriore diminuzione».

Prosegue dunque la continua perdita di giovani altamente qualificati, con competenze specialistiche e skill avanzati.

Tutte le regioni hanno un saldo migratorio di laureati italiani negativo a livello internazionale, comprese le brillanti Lombardia ed Emilia-Romagna.

I laureati inoltre in termini percentuali emigrano più della media degli italiani, che comunque non sfigurano (dal 2008 al 2016 sono stati ben 623.885 i nostri connazionali espatriati).

Che cosa significa tutto ciò per un’Italia che investe il 4% del Pil in istruzione ma è incapace di trattenere i talenti che ha formato? «Questi dati ci restituiscono il quadro di un Paese nel quale il capitale umano maggiormente qualificato, formato grazie a un cospicuo un investimento dello Stato e delle famiglie, che potrebbe essere motore di innovazione e portatore di creatività, viene ad essere in parte perduto», sottolineando Sorvillo e Licari.

Due parole sul Sud, doppiamente colpito dalla fuga di cervelli (sia al Nord che all’estero). «È soprattutto nel Mezzogiorno che la perdita di talenti è particolarmente critica e rischia di influenzare negativamente il benessere e la sua sostenibilità – concludono le due ricercatrici Istat – : essa infatti non è solo un sintomo di una carenza strutturale di adeguate opportunità lavorative, ma si traduce a sua volta nel perdurare di uno stentato sviluppo del tessuto produttivo».

Tale fenomeno interessa particolarmente anche gli infermieri, che rappresentano un’enorme fetta dei laureati emigranti.

Negli ultimi dieci anni oltre 121.000 infermieri si sono trasferiti dal proprio paese ad un altro all’interno dell’area Schengen. Nell’ultimo decennio, oltre 20.000 infermieri italiani sarebbero emigrati all’estero.

Simone Gussoni

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