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Un ruolo da protagonista: l’infermiere strumentista di cardiochirurgia

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Un ruolo da protagonista: l'infermiere strumentista di cardiochirurgia
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Introduzione di Papagni Giuseppe

Quella che vi riportiamo di seguito è probabilmente un vissuto professionale che molti infermieri di lungo corso hanno sperimentato personalmente…un turbinio di emozioni contrastanti, momenti di esaltazione professionale alternati a momenti di sconforto dovuti alle tante dinamiche che accompagnano la vita professionale di un infermiere strumentista. Questa importante esperienza della collega Anna Di Martino ripresa da NurseTimes, vuole ispirare tanti giovani colleghi che si avvicinano al mondo dell’infermieristica e che dovendo scegliere il loro futuro professionale, trovano nelle parole della collega uno stimolo positivo determinante. Anna Di Martino, laureata in infermieristica nel 2007, attualmente in forza all’Ausl Teramo, esercita come infermiera strumentista presso il blocco operatorio cardiochirurgico, componente del consiglio direttivo del collegio Ipasvi di Teramo, responsabile della formazione. Nelle parole di Anna tutta la passione per la nostra professione!

Annamaria Di Martino
Di Martino Anna

“Abbiamo bisogno di una strumentista in Blocco Operatorio: vuole andare? Vuole provare?”

Queste furono le prime parole che sancirono l’inizio della mia variegata esperienza professionale che mi vede tutt’oggi protagonista.

Varcavo quella soglia nel 1999: anno, quantomeno numericamente, evocativo di una nota odissea.

Il primo impatto avvenne con un Blocco Operatorio polispecialistico in cui i miei colleghi, i chirurghi, gli anestesisti apparvero, ai miei occhi, delle figure quasi surreali ed anche un po’ aliene!

Le sale erano un tripudio di macchinari, attrezzature, piani di lavoro…Li osservavo muoversi sicuri dentro e fuori il campo operatorio con sapiente maestria e li ammiravo!

Ammiravo la loro sicurezza, la loro preparazione tecnica e la prontezza nell’intervenire al momento opportuno. Ero rapita e, nello stesso tempo, spaventata.

Sarei stata mai capate di raggiungere i loro livelli?

Iniziò per me un training impegnativo tra teoria, pratica ed una full immersion didattica senza precedenti.

Il primo approccio con il tavolo operatorio ebbe, su di me, un impatto di un’intensità che può essere paragonata a quella di un colpo di fulmine, misto ad un turbinio di ansia e tensione.

Imparai, in prima istanza, a cambiare punto di vista. Non avevo mai realizzato quanto l’anatomia topografica fosse diversa da quella studiata sui libri e di quanto potesse aprire nuove considerazioni e conoscenze! Lo strumentario chirurgico brillava di luce propria sotto la luce fredda delle lampade scialitiche: io ne apprendevo i segreti che i miei colleghi ed i chirurghi mi trasmettevano.

Presto mi accorsi di quanto i rapporti umani, sul tavolo operatorio, potessero essere completamente “alterati”, nel bene e nel male; era tutto amplificato: i tempi, i gesti, le parole, i toni…

Come dico sempre (con l’esperienza maturata): il tavolo operatorio, in alcuni frangenti, tira fuori il peggio!

Col passare del tempo le nebbie si diradavano ed iniziò a subentrare una certa padronanza delle tecniche chirurgiche e dello strumentario unite sapientemente dalla teoria che rende ogni atto armonico, capace di sviluppare la consapevolezza dell’importanza del lavoro d’equipe.

In concomitanza, tuttavia, mi convincevo che non vi è nulla di completamente ponderabile e di prevedibile quando si parla di medicina.

“Avere le mani in pasta” tutti i giorni, con i miei guanti calzati perfettamente, bardata come una guerriera, parte integrante di una equipe che operava all’unisono, mi faceva stare bene, sempre vigile, talvolta tesa ed ansiosa ma con la sensazione di essere al posto giusto: era la mia giusta dimensione!

Diminuivano le insicurezze ed aumentava la mia autostima e sete di conoscenza.

Studiavo, leggevo, osservavo di continuo, senza mai smettere e gli stimoli non mancavano. Di certo non era una passeggiata quanto, piuttosto, un percorso duro ed impegnativo costantemente in divenire.

Essere un infermiere strumentista, con scienza e coscienza, comporta non pochi sacrifici. Siamo perfettamente consapevoli quanto la nostra non sia vita facile, tantomeno scandita da ritmi regolari. Complicanze, emergenze ed imprevisti sono lì, sotto le nostre mani e vanno fronteggiati in maniera efficiente ed efficace nell’immediatezza del momento.

Nel corso della mia carriera, ho cambiato diverse sedi di lavoro, ho visitato e frequentato diverse realtà ed avuto a che fare con la quasi totalità delle specialità chirurgiche proseguendo, in concomitanza, il percorso di studi, raccogliendo più di una sfida riguardante la mia sfera professionale.

L’ultima di esse rappresenta la mia attuale: la chirurgia cardiaca!

Il cuore: organo nobile per eccellenza, motore di tutto il corpo umano, considerato per secoli sede dei nostri sentimenti e della nostra anima!

Approdai in questa nuova realtà nel 2011 ritrovando quel colpo di fulmine vissuto all’inizio della mia carriera, o meglio, un “coup de coeur”! Se dovessi usare una similitudine per descrivere il mio impatto con la cardiochirurgia, lo farei pensando ad una medaglia le cui due facce sono rappresentate: da una parte dall’apparente calma che si respira durante gli interventi, strettamente legata e necessaria all’alta complessità tecnica degli stessi; dall’altra l’elevata laboriosità e professionalità degli operatori e la stretta interazione tra di essi.

Entrando nel blocco cardiochirurgico, si avverte immediatamente il peso specifico della scienza e della tecnica. La super-specialistica cardiochirurgia è una branca sui generis. Essa, più di tutte le altre, oserei dire, comporta un impegno ed una preparazione specifica, nonché una spiccata motivazione professionale, controllo e spirito di gruppo.

Le figure professionali coinvolte sono diverse e di diversa natura e risultano in totale interazione armonica tra di loro. Cardiochirurghi, cardio-anestesisti, infermieri strumentisti, infermieri di anestesia, tecnici della perfusione compongono una sinfonia di alta complessità.

L’obiettivo finale è, naturalmente la riuscita dell’intervento e il riequilibrio della sua salute del paziente, al fine di fargli riacquistare una buona qualità di vita.

Prima che si lasci andare al suo sonno artificiale indotto, noi siamo lì, a sostenerlo in quella sorta di limbo, con parole di conforto per fargli affrontare al meglio il suo viaggio. Siamo lì durante i lunghi, complessi e delicati tempi chirurgici dell’intervento. Siamo lì, stoicamente, a tenere testa a quei cuori che resistono nel loro essere malconci e che condizionano l’andamento di tutto l’iter chirurgico!

Chiedo venia se questo mio excursus può essere letto come autocelebrativo degli infermieri di sala operatoria!

…ma vi assicuro che di riconoscimenti ne riceviamo ben pochi, se non da chi è a stretto contatto con noi.

Essendo “abitanti” di un ambiente chiuso sono tutti lì che fantasticano su quello che facciamo o meno e quasi mai corrisponde a realtà. Per questo, scusate, ma credo che sia più che dovuto un elogio a tutti gli infermieri, in particolare a quelli che scelgono, con investimenti in formazione e professionalità, di lavorare nelle sale operatorie, come infermieri strumentisti!

Il ruolo dello strumentista ha una forte connotazione tecnica, che ben poco ha a che fare con l’assistenza diretta al paziente, se non come ultimo destinatario del nostro operato. Uno strumentista ben formato è una preziosa risorsa, in particolare riferito ad un’alta specialistica come la cardiochirurgia. Il suo ruolo non può essere demandato a nessun altro, tantomeno in tempi brevi. Difficilmente sostituibile, se non dopo un training lungo, completo e complesso in cui bisogna mettersi in discussione e riconsiderare tutta la nostra professionalità.

In sostanza, parafrasando una frase che ho letto sul web: il chirurgo avrà anche scoperto il fuoco, ma lo strumentista sa bene come giocarci!

Anna Di Martino

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