…di Dario Porcaro
Ogni tanto capita di mettere insieme dei pensieri, apparentemente estranei fra loro, ma caratterizzati da un denominatore comune.
Chiaramente dopo alcuni anni di attività professionale succede naturalmente, direi fisiologicamente, che queste riflessioni vadano a ricadere su ciò che si fa, si è fatto, si farà.
Quanto si è appreso nel tempo acquisisce nella nostra mente la medesima categoria della grammatica per il linguaggio. Conserviamo quanto esperito attraverso passaggi logici, quanto meno per la nostra mente, velocemente richiamabili, subitaneamente applicabili, concretizzando un percorso che da un punto di partenza ci conduca ad uno di arrivo. L’attività conoscitiva passa attraverso la raccolta di concetti, raccoglie ciò che viene riconosciuto utile, rifiuta quanto riscontrato superfluo o inutile.
Un concetto sarà quindi capace di raccogliere una molteplicità di elementi che la nostra mente armonizzerà o terrà separati. Prendiamo per esempio un infermiere, all’inizio della sua carriera avrà come bagaglio professionale quanto letto sui libri, memorizzato quindi, oltre all’esperienza pratica fatta durante il tirocinio clinico. Questo non lo rende in sé e per sé un professionista “preparato”, ma al semplice debutto di un percorso che può sfioccare in diverse diramazioni e, conseguentemente, differenti acquisizioni cognitive, a scapito di altre.
Per renderla molto semplice tutti siamo partiti dall’angolo al lenzuolo, attività sulla quale siamo stati giudicati e forse ampiamente criticati, quindi la nostra mente (professionale) avrà un’immagine di letto non virtuale, ma concreta ancor ché pensata, che partirà dai 45° del lenzuolo;volendosene privare, quel letto viene decurtato della sua integrità concettuale.
Poi trascorreranno gli anni, acquisiremo una quantità di metodiche attuabili all’interno di una molteplicità di situazioni,che saranno a loro volta legate ad una pluralità di variabili che approderanno a scelte precise, scelte che ci consentiranno di assistere adeguatamente i nostri pazienti, (che la nostra mente non raccoglie necessariamente come serie ordinata di eventi) piano piano, a seconda del trauma provocato da quei 45°, se la nostra mente li giudicherà superflui, saranno accuratamente rimossi.
A questo proposito troverete su YouTube alcuni video realizzati nell’ambito di laboratori professionali dal titolo “rifacimento del letto vuoto”, ai quali è stato posto il sigillo da parte di corsi di laurea afferenti a blasonate Università.
L’esperienza consente sì di poter evitare il numero maggiore di possibili errori, ma non è in grado di escluderli del tutto. Conosciamo bene la definizione di sistemi complessi, composti da una pluralità di singoli elementi all’interno dei quali il comportamento del singolo può provocare ripercussioni sull’intera struttura.
Il nostro ambito in particolare è caratterizzato da forte impatto sociale, molteplicità di funzioni, sono sistemi aperti, in evoluzione, caratterizzati da grande variabilità e varietà di componenti, grandi specializzazioni, basati sulla conoscenza e sull’autopoiesi della conoscenza, però, c’è sempre un però, capaci di errori.
Tutti noi abbiamo in mente l’immagine delle fette di groviera trapassate dalla freccia che rappresenta la tragica catena dell’errore, che può essere di esecuzione, di lapses inteso come vuoto di memoria (non patologico) e quelli non commessi durante l’attività pratica, perché poggiano su distorsioni che precedono l’atto in se stesso. Possiamo tentare di aprire l’ambito di questo ragionamento ad una visione nuova e maggiormente adeguata ai tempi? Proviamo.
Ciò che avviene nel film che in tanti di noi conoscono, cioè Matrix di Andy e Larry Wachowski (1999), si immagina che la sconfitta degli uomini venga messa in atto da una pluralità di macchine super intelligenti che li tiene in vita con l’unico scopo diestrarre da loro l’energia che a sua volta le tiene in vita, potremmo dire una vita simbiotica.
L’idea di Matrix non è del tutto originale in verità, all’inizio degli anni ’80 il filosofo americano Hilary Putnam aveva immaginato una realtà illusoria di quel tipo con il semplice scopo però di poterla confutare. Oggi siamo sempre più prepotentemente e straordinariamente raggiunti da idee suggestive che riguardano il rapporto tra il computer e la mente.
Tralascio in via assoluta ciò che ha rappresentato sino ad oggi l’utilizzo dei pc che spesso sono stati paragonati a velocissimi stupidi, che ci hanno fatto giocare sino a spingerci a confondere la realtà virtuale con quella fattuale, per giungere ad una concezione di simbiosi differente, positiva, nella quale la macchina è capace di “abitare” la nostra realtà e sperimentarla.
Stiamo per assistere ai primi passi che ci porteranno verso una stretta parentela tra “mente” e “programma” all’insegna di un termine estremamente affascinante: creatività. Se questo aspetto vi interessasse in modo maggiore rispetto ai 45° dell’angolo del lenzuolo, vi invito a leggere di John R. Searle “La filosofia in un nuovo secolo”.
L’ipotesi che sta prendendo forma vede l’intelligenza naturale (cioè le nostre capacità cognitive da cui siamo partiti), come la capacità di elaborazioni di informazioni che si leghi ad un “programma” capace di apprendere creativamente.
Volendo rimanere in una visione positiva di questo ambito e guardando alla straordinaria velocità del progresso tecnologico di questi ultimi anni, non ne dovranno trascorrere poi tanti altri, per vedere realizzare qualcosa che oggi si immagina come straordinario.
Il campo sanitario è qualcosa di tangibile, pratico, con basi scientifiche, strutturato, che esprime indicatori e criteri: quale migliore palestra, all’interno della quale, sperimentare l’intelligenza artificiale per acquisire le informazioni che costituiscono l’esperienza di una molteplicità di settori assistenziali a vantaggio dell’eliminazione pressoché totaledell’errore? Anche il nostro sistema cognitivo è orientato alla prestazione, l’intelligenza artificiale può essere un importante terreno di verifica nel nostro ambito.
Tentativi in questo senso sono stati fatti a partire dagli ’70 quindi qualcosa si è già messo in moto. Comprendere, per saper produrre, attraverso il calcolo, questa è la nuova frontiera dell’acquisizione cognitiva, che toccherà e interesserà tante professioni, certamente anche la nostra.
Per concludere Putnam suggerisce altre due ipotesi: l’identità dei processi mentali umani è indipendente dal loro supporto materiale; i processi mentali sono essenzialmente«sequenze di stati governate da leggi che ne controllano l’ordine».
Alla nostra professione viene vietata, dagli attuali ordinamenti formativi, uno sguardo al futuro quanto mai imminente e che molti delle ultime generazioni vedranno sperimentare.
Care ragazze e cari ragazzi oggi studenti, non concentratevi troppo sui 45° di un angolo imposti ad un lenzuolo, la nostra professione merita altro, merita un orizzonte sulla realtà a 360°, che sarà, volenti o nolenti, fortemente indirizzata in questo senso e solo i pochi adeguatamente formati e preparati, saranno in grado di affrontarla.
Dario Porcaro
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