A cavallo tra “la giornata dei diritti dei bambini”, riconosciuti dall’ONU nella Convenzione Internazionale sui diritti dell’infanzia il 20 Novembre 1959 e il 25 Novembre , “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”, istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, è doveroso ricordare il vuoto bruciante e ingiusto generato dall’assenza di milioni di bambine mai nate.
Entro il 2030, circa 6,8 milioni di bambine verranno uccise prima ancora di essere nate, l’epidemia che le sterminerà si chiama: aborto selettivo.
L’aborto selettivo è la decisione di interrompere la gravidanza in base al sesso del nascituro.
Nel mondo, paesi come l’India e la Cina, praticano l’aborto selettivo costantemente e implacabilmente.
Nonostante nel 1994, il Governo indiano ha tentato di fermare questa pratica vietando la determinazione del sesso prima della nascita se non per scopi medici, il numero di aborti non è diminuito. Piuttosto i vari divieti sulle indagini prenatali, hanno favorito la diffusione di un mercato di test genetici illegali praticati in cliniche private. Le bambine che sopravvivono crescono tra torture e discriminazioni.
Ma come è possibile tutto ciò?
Le strutture familiari, come quelle indiane, cinesi, fortemente patriarcali hanno cementato la convinzione sociale che una figlia costituisca solo un inutile fardello. Un bambino diventerà uomo, che potrà lavorando, mantenere economicamente la famiglia, un uomo può alimentare il rigoglio genealogico e consegnare al futuro le dinastie familiari.
Le bambine invece, destinate a diventare donne, vivranno pochi anni nella casa paterna rinsecchendo i rami genealogico, non potranno, spesso per leggi locali, detenere beni e dovranno (ad esempio come da tradizione indiana) consegnare in dote molto denaro se vorranno essere sposate e rispettate.
Inoltre in Cina, la legge per il controllo demografico, che in passato vietava di allevare più di un figlio, ha spinto milioni di famiglie ad assicurarsi, tramite l’aborto selettivo, l’erede maschio. Questa cinica selezione, ha creato un disequilibrio demografico a favore del numero di uomini rispetto alle donne. Ciò comporta la difficoltà, in alcune zone, di avere numero sufficiente di donne per ciascun uomo, contribuendo all’aumento della violenza sulle donne.
Secondo uno studio del 2019, su 23 milioni di bambine mai nate nel mondo, 11,9 milioni sono avvenuti in Cina e 10,6 milioni in India.
Per combattere questo fenomeno, i vari Governi, oltre ad una serie di campagne informative, tramite funzionari di Stato, visitano le case in cui sono nate delle bambine per festeggiare il loro arrivo e cercano di regale denaro da investire nella dote futura della nascitura.
Nel libro-testimonianza della giornalista cinese Xinran “Le figlie perdute della Cina”, si racconta il dolore delle donne incatenate a quella società maschilista e retrograda, che non permette di mettere al mondo quello che la naturale genetica ha scelto per loro. Donne incapaci di partorire il figlio “giusto”. Donne “sterili” seppur incinte.
Xinran come pioggia fredda riporta nel libro pensieri e parole di quelle donne cinesi: “Noi non possiamo cavarcela senza un figlio maschio. Nessuno brucerebbe per te l’incenso al tempio degli antenati”.
“Noi gente di campagna eravamo terrorizzati all’idea che il primogenito fosse femmina. Se era così, voleva dire che per una generazione intera, o anche per diverse generazioni, la famiglia non avrebbe potuto guardare a testa alta la gente del villaggio! Che cos’è se non una calamità?”
Allevare una figlia è come annaffiare un fiore nel giardino del vicino”, recita un proverbio tamil. Restituire a queste donne dignità e diritti rappresenta un dovere per tutta l’umanità. In ricordo di tutte le bambine mai nate, in obbligo verso tutte quelle che nasceranno.
Valeria Pischetola
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