Il vicepresidente nazionale della Federazione nazionale Ordini medici chirurghi e odontoiatri evidenzia i problemi della sanità italiana.
“Occorre equiparare gli stipendi di medici e infermieri agli standard europei, migliorare le condizioni di lavoro e la sicurezza degli operatori. La sanità pubblica non è un costo da tagliare sistematicamente, ma un investimento, oltre a essere l’indicatore per eccellenza del grado di civiltà di una nazione”, dice in un’intervista a Giovanni Leoni, chirurgo generale dell’Ospedale Civile di Venezia e vicepresidente nazionale Fnomceo (Federazione nazionale Ordini medici chirurghi e odontoiatri).
Secondo il 18esimo Rapporto Sanità di Crea Sanità (Centro per la ricerca economica applicata in sanità), dell’Università di Roma Tor Vergata, in Italia mancano all’appello 30mila medici e 250mila infermieri, mettendo così a rischio il Ssn. Mentre in ospedale i tempi medi per visite specialistiche e indagini diagnostiche si allungano all’inverosimile, la Ragioneria dello Stato informa che nel 2021 l’out of pocket è arrivato a 3 7,16 miliardi, +20,7% rispetto all’anno precedente, e l’Istat rende noto che l’11% degli italiani ha rinunciato alle cure per motivi economici o difficoltà di accesso ai servizi.
“Tra il 2010 e il 2020 sono stati tagliati 38.684 posti letto e di conseguenza 29.284mila professionisti solo a livello di medici dipendenti – spiega Leoni -. Per questo, rimanendo invariate le esigenze dei pazienti, con meno letti e meno personale curante, i tempi di attesa si sono allungati. A questo si aggiunge il Covid-19, che ha bloccato quasi tutte le attività ospedaliere per oltre un anno. La conseguenza è che l’allungamento delle liste d’attesa ritarda diagnosi e trattamenti, aggravando potenzialmente le malattie dei pazienti, e rendendo più complesse le cure e aumentando il carico di responsabilità dei medici”.
Aggiunge il vicepresidente Fnomceo: “Molti medici lasciano gli ospedali perché la carenza di organico si traduce in turni massacranti, con stipendi inadeguati rispetto all’impegno, alla fatica e al rischio professionale. Per non parlare delle aggressioni e delle violenze. Scelgono il privato o diventano medici a gettone presso le cooperative, dove il compenso immediato è più alto e migliore la qualità di vita perché, non essendoci ordini di servizio, si può gestire meglio il proprio tempo. Ma il ricorso alle cooperative costa alle aziende circa tre volte la tariffa di un normale medico. Poi c’è chi se ne va all’estero, dove gli stipendi sono da tre a cinque volte i nostri. Oggi l’Italia è agli ultimi posti tra i Paesi Ocse per le remunerazioni dei professionisti della salute, ma è un grave errore pensare di garantire la qualità dell’assistenza comprimendo gli stipendi di medici e infermieri”.
Redazione Nurse Times
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