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Le interruzioni infermieristiche: quanto si distraggono gli infermieri sul lavoro?

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Le interruzioni infermieristiche rappresentano da molti anni un fenomeno dibattuto a livello internazionale.

Il loro potenziale effetto sugli errori costituiscono da sempre un aspetto delicato al quale i ricercatori hanno dedicato molta attenzione soprattutto durante la somministrazione della terapia.

E’ stato infatti dimostrato in una recente revisione della letteratura che l’occorrenza delle interruzioni varia da 0.3 a 13.9 per ora e che la probabilità di somministrare farmaci se l’infermiere viene interrotto durante questa fase aumenta del 60%.

A tal proposito l’Istituto di Medicina di Washington con la dichiarazione ”To hare is human” ha sottolineato l’importanza degli errori evitabili in ambito sanitario e ha suggerito che le interruzioni costituiscono un fattore che contribuisce al loro verificarsi.

In letteratura non esiste ancora una definizione comunemente accettata d’interruzione della pratica clinica infermieristica – alcuni la definiscono come distrazione, altri come abbandono dell’attività primaria, altri ancora come momento di comunicazione – ma in generale si intende la rottura della continuità dell’attenzione subita dall’infermiere il quale, mentre sta svolgendo una determinata attività, viene distolto per svolgere altri compiti.

Conoscere le cause delle interruzioni è quindi fondamentale per poter attuare adeguate strategie di contrasto del fenomeno.

Queste possono essere classificabili come provenienti da 5 fonti:

  • ambientali, quali rumori esterni;
  • tecnologiche, come telefoni o allarmi dei dispositivi di infusione;
  • organizzative, quali farmaci o strumenti mancanti dal carrello della terapia o la gestione di situazioni d’emergenza;
  • paziente-correlate, come comunicazioni iniziate dai pazienti o dai loro familiari;
  • fattori umani, quali lo stress e le auto-interruzioni.

Per quanto riguarda le conseguenze delle interruzioni infermieristiche è stato documentato che esse causano un aumento del tempo per il completamento delle attività, un incremento dello stress lavorativo ma anche della probabilità d’errore: è stato dimostrato, a tal proposito, che senza interruzioni il tasso di errore era del 2.3% e con esse saliva al 4.7%.

L’attenzione dei ricercatori sino ad ora si è prevalentemente concentrata sul processo di somministrazione dei farmaci e la maggior parte degli studi condotti si sono concentrati nelle unità operative mediche o dell’emergenza, più ridotti nell’ambito chirurgico.

Dalle ricerche è emerso che, indipendentemente dal turno osservato, le fasce orarie soggette all’aumento del numero delle interruzioni sono soprattutto nella prima e nella seconda ora dell’inizio del turno lavorativo.

Questo potrebbe derivare dal fatto che il personale sanitario, per gestire i flussi lavorativi, abbia necessità di confrontarsi sullo stato clinico dei pazienti, di gestire i familiari, i guasti del sistema come i farmaci mancanti sul carrello della terapia e la somministrazione della stessa.

Inoltre, anche dalla 6a alla 7a ora e all’inizio del turno lavorativo del mattino le distrazioni aumentano in quanto gli infermieri si scambiano le consegne, viene somministrata la terapia, è l’ora del pranzo e della gestione dei familiari.

Per ciò che riguarda il luogo sembra che il paziente interrompa prioritariamente nella propria stanza di degenza e in corridoio tra la 5a e la 6a fascia oraria: le condizioni cliniche degli utenti non sempre permettono di uscire dalla propria stanza di degenza e quando l’infermiere è disponibile in questi luoghi rappresenta per i pazienti e i familiari un’opportunità per esprimere i propri bisogni.

Un gran numero di interruzioni si presentano anche durante le consegne soprattutto dal personale medico e infermieristico nella stanza degli infermieri: questo perchè è il luogo dove viene svolta tale attività, il posto d’incontro di tutto il personale sanitario e l’infermiere rappresenta una fonte disponibile per poter chiedere informazioni cliniche sugli utenti; ciò si evince soprattutto nelle strutture universitarie in cui è il personale ad interrompere con maggiore frequenza perchè è più elevato il numero di operatori in turno presenti quotidianamente a cui si aggiungono gli studenti delle professioni sanitarie e di medicina.

Per quanto riguarda la durata si nota che le interruzioni derivanti dal sistema o dalla gestione di situazioni d’emergenza sono di durata maggiore, mentre pazienti e familiari generano interruzioni tendenzialmente molto brevi: questo perchè gli infermieri dopo aver valutato l’interruzione effettuano un ragionamento legato alle priorità e decidono di rimandare o di delegare la loro gestione.

Di contro, guasti al sistema, medici e coordinatori generano interruzioni con durata maggiore perchè sono gestite direttamente e perchè sono necessarie il coordinamento e la pianificazione assistenziale.

Stratificando le interruzioni per attività interrotta è evidente che i pazienti e i familiari interrompono soprattutto durante la terapia, i medici durante le consegne e le medicazioni, mentre gli infermieri e i coordinatori generano interruzioni soprattutto durante le consegne, così come il telefono è considerato uno dei principali ”distrattori” .

Si è notato, inoltre, che pazienti e infermieri generano maggiori interruzioni soprattutto nelle unità operative organizzate per team: questo perchè l’infermiere è più disponibile e responsabile di un minor numero di pazienti, mentre sono i guasti al sistema ad interrompere nelle unità operative organizzate per compiti perchè le attività sono più numerose ad essere svolte dal singolo infermiere.

Si è osservato, infine, che all’aumentare del personale oss in turno aumenta anche la durata media delle interruzioni degli infermieri: questo potrebbe essere spiegato dal fatto che gli infermieri tendono a demandare agli oss attività di natura assistenziale i quali poi, a loro volta, si rivolgono agli infermieri nella loro qualità di responsabili dell’assistenza.

Comunque, ci sono variabili latenti ancora da intercettare e sono necessari ulteriori studi per poter permettere alle organizzazioni sanitarie di attuare adeguate strategie di contrasto del fenomeno utili ad individuare strategie efficaci di intervento.

Le conseguenze delle interruzioni ricadono infatti non solo sull’operatore ma soprattutto sulla sicurezza dei pazienti.

Gestire al meglio tale fenomeno rappresenta dunque per le organizzazioni sanitarie una possibile area di intervento prioritario a sostegno della qualità assistenziale erogata.

Anna Arnone

 

Sitografia
journals.lww.com

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