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Lavorare in Inghilterra. L’esperienza di un’infermiera pugliese

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Alessia SchiavoneOrmai il fenomeno della disoccupazione giovanile in Italia è dilagante e coinvolge anche quei settori che fino a qualche tempo fa erano considerati più fortunati e che difficilmente sarebbero stati coinvolti dalla crisi occupazionale, come quello dell’infermieristica.

Se da un lato ci sono neo-infermieri che lottano per riuscire ad ottenere quell’unico posto messo a concorso nei pochi ospedali italiani che ancora bandiscono concorsi, per cui si presentano in 16 mila per concorrere per quell’unico posto, dall’altro ci sono coloro invece che, immediatamente dopo il conseguimento del titolo universitario o dopo essere rimasti avviliti dalle lunghe tempistiche concorsuali, non sempre trasparenti, decidono di intraprendere una via più “semplice”, che è quella dell’estero.

Se in Italia le offerte di lavoro per infermieri si limitano prevalentemente alla libera professione, che spesso maschera in realtà un rapporto di lavoro subordinato, con compensi economici quasi sempre poco vantaggiosi, diversa sono due altre realtà da cui gli infermieri italiani sono prevalentemente attratti: la Germania e l’Inghilterra.

Da questi due paesi le offerte di lavoro fioccano giornalmente, comprendendo contratti a tempo indeterminato, possibilità di avanzamento di carriera, primo mese di affitto pagato, corso di lingua. Tutto ciò che sembrerebbe surreale al giorno d’oggi in Italia, diventa un’offerta davvero allettante che spinge molti a lasciare la propria famiglia e gli affetti più cari per intraprendere la professione per cui si è studiato durante il percorso universitario.

Mi soffermerò sul sistema sanitario inglese pubblico (Nhs), conoscendolo meglio, lavorandoci personalmente da qualche mese. Ero tra il primo e il secondo anno di magistrale e nonostante avessi davanti ancora un altro anno di università, il pensiero di non essere riuscita a trovare un’occupazione inerente al mio corso di studi a quasi un anno dal conseguimento del titolo di primo livello, mi avviliva molto.

Provavo ad iscrivermi a tutti i concorsi che venivano pubblicati in G.U., ma non sempre risultava semplice, soprattutto economicamente, spostarsi fino in Sardegna per poi andare a sostenere realmente le prove e così spesso ci rinunciavo; per non parlare delle lunghe tempistiche che a volte intercorrono tra il sostenimento di una prova e la successiva.

Così un po’ per curiosità, un po’ perché mi sarebbe piaciuto effettivamente lavorare in una realtà dove le linee guida non erano solo carta, mandai il mio curriculum ad un’agenzia di reclutamento inglese e dopo neanche un minuto di orologio fui contattata. Non ero molto convinta di volermi trasferire immediatamente e così lasciai passare questa occasione.

Dopo neanche un mese però mi convinsi e dopo diversi colloqui telefonici e il colloquio di persona con la matrona (direttrice del dipartimento) e la responsabile delle risorse umane, sono stata assunta a tempo indeterminato, con la promessa di un anno di preceptorship (affiancamento) e di aiuto nell’accomodation (sistemazione) temporanea.

Così a Novembre sono partita per iniziare questa nuova avventura. Durante il viaggio non avevo ancora ricevuto notizie certe sull’accomodation e quindi il mio livello di agitazione era apicale e solo quando sono giunta in terra inglese ho saputo dove sarei dovuta andare a dormire quella notte.

In ogni caso non ero intenzionata a mollare. Ho cominciato a seguire due settimane di lezioni (induction), durante le quali, nonostante il mio livello di inglese intermedio (B1-B2), avevo serie difficoltà a seguire, ma neanche questo mi ha abbattuta.

E dopo le due settimane di lezioni ho comiciato i turni in reparto, dapprima in affiancamento, ma in realtà solo per tre settimane, e non un anno come prevedeva il pacchetto di assunzione. Le lezioni prevedevano corsi di venipuntura, incannulamento, blsd, piaghe da decubito, diabete, trasfusione di sangue, tutte tenute da specialist nurses e poi lezioni teoriche su alcune procedure seguite che sono tipicamente inglesi, tipo il safeguarding.

L’infermiere in Inghilterra è una figura centrale, a cui afferiscono tutte le altre figure, che si occupa dell’assistito dall’ammissione alla dimissione, che non avviene se il paziente non ha effettuato tutti gli assessments previsti dall’infermiere, anche se magari dal punto di vista medico è pronto per la dimissione.

I parenti hanno come punto di riferimento l’infermiere, il quale effettivamente è il responsabile dell’assistenza globale. In Inghilterra l’infermiere è obbligato a seguire dei corsi e dopo ad essere supervisionato prima di effettuare autonomamente una procedura. Così per esempio per la somministrazione di terapia endovenosa, è necessario seguire il corso, dopo di che in reparto è necessario essere supervisionati e valutati prima di poter effettuare autonomamente la somministrazione di terapia endovenosa. La regola vale per tutte le procedure invasive.

All’ammissione del paziente l’infermiere è obbligato a valutarlo seguendo tutte le schede di valutazione presenti in un plico prestabilito e quindi ci sarà la scheda di valutazione della cannula, del rischio caduta, del rischio di malnutrizione, le piaghe da decubito….

La compilazione di tutti questi care plans per ogni paziente richiede tantissimo tempo, per questo l’infermiere è affiancato da figure di supporto, gli healthcare assistants, che si occupano delle cure igieniche e dei bisogni primari del paziente. Ogni infermiere ha in genere in carico un numero definito di pazienti per turno e la gestione di questi è di sua completa responsabilità.

Per poter essere assunti nell’NHS ci sono due vie: le agenzie di reclutamento che postano gli annunci su qualsiasi social network oppure direttamente l’ospedale di interesse, andando nella sezione vacanze disponibili. Le agenzie di reclutamento percepiscono per ogni candidato che viene assunto una percentuale dall’ospedale. In ogni caso però le agenzie di reclutamento consentono di sostenre i colloqui in Italia, ciò che non avverrebbe se si facesse direttamente riferimento all’ospedale di interesse.

Per poter sostenere e superare il colloquio è sufficiente un livello B1 di inglese, ma per poter lavorare con tranquillità è necessaria tanta pratica e un livello di inglese superiore. La difficoltà che riscontro maggiormente è la comprensione nella comunicazione telefonica. L’NHS al momento si trova in uno stato di grave carenza di personale infermieristico e si appoggia quindi alla comunità europea per compensare il deficit.

La maggior parte degli infermieri inglesi preferisce lavorare come bank nelle agenzie e non a tempo indeterminato, perché sostanzialmente il grado di responsabilità è inferiore e lo stipendio è molto più alto. L’ospedale non riuscendo a compensare i deficit con il personale di ruolo si affida quindi ai bank, pagandoli di più.

Concludendo il sistema sanitario inglese non è perfetto, perché spesso si lavora in turni massacranti o in carenza di personale, però al momento offre lavoro, a mio parere ben retribuito, le possibilità di avanzamento di carriera sono molto più concrete rispetto all’Italia e rappresenta sempre un modo per poter sperimentare nuove realtà, cercando di apprendere il meglio che queste offrono.

È un’esperienza che io personalmente ripeterei se tornassi indietro.

Alessia Schiavone

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