Maria Peron nacque nel 1915 a Sant’Eufemia di Borgoricco in provincia di Padova il 28 marzo, a pochi mesi dallo scoppio della prima guerra mondiale, rimase orfana di padre molto presto poiché egli fu ucciso nel 1918 durante il conflitto in atto.
“Poco dopo l’8 settembre 1943 avevo già fatto la mia scelta: stare dalla parte dei più deboli”. La storia dell’infermiera Maria Peron, ai tempi della Resistenza, unisce l’eroismo alla passione per il proprio lavoro.
Maria era stata assunta a Milano all’Ospedale Maggiore di Niguarda alle dipendenze del primario chirurgo in sala operatoria.
In quello stesso anno, infatti, Maria si era unita ai Gruppi di Azione Partigiana (G.A.P.), comandati da Mario Sangiorgio, che si occupavano della fuga di ebrei e prigionieri politici del carcere di San Vittore di Milano verso la Svizzera.
Il piano per l’evasione prevedeva come prima fase il ricovero a Niguarda con un inganno: venivano trasportati con la diagnosi di febbre alta che in realtà era stata procurata dai medici del carcere, membri dell’organizzazione clandestina, strofinando tabacco sotto l’ascella dei detenuti.
Arrivati in ospedale venivano poi forniti di abiti rubati dalla camera mortuaria e aiutati a fuggire.
Nel suo racconto, risalente a una comunicazione radio del 1945, riportata da “il Popolo Cattolico”, Maria ricordava che i primi a cui non potè rifiutare il suo aiuto erano ebrei, “mi trovai a far parte di un’organizzazione clandestina che si incaricava di salvare gli ebrei che, come falsi malati, venivano fatti ricoverare a Niguarda e di lì, attraverso la nostra organizzzione, accompagnati in Svizzera”.
Poi, passò ad aiutare i politici e i detenuti nel carcere di San Vittore che venivano ricoverati in ospedale e poi passavano alla resistenza partigiana, assieme ad altri medici e infermieri dell’ospedale.
Il 5 maggio del ’44, poi, Maria venne scoperta e fuggì calandosi da una finestra dell’ospedale. Scappò in val d’Ossolo e si unì alla formazione garibaldina “Val Grande Martire”.
Lì, da donna forte e infermiera esemplare, creò un punto di pronto soccorso e ad aiutare i partigiani che ne avevano bisogno. Durante i rastrellamenti, portò in salvo molti uomoni e non fece mai mancare l’aiuto ai feriti, anche quelli nazisti catturati. Sulla sua divisa improvvisata cucì una croce rossa e decise di non impugnare mai un’arma. Le sue mani sono state mani di curatrice, non avrebbero mai potuto ferire.
Fra i vari feriti di cui Maria Peron si occupò in Val Grande c’era anche un uomo di nome Laurenti Giapparize, un georgiano rapito dall’esercito tedesco e arruolato con la forza. Da qualche tempo, era riuscito a fuggire e si era unito ai partigiani. Era stato curato da Maria poiché era stato ferito alla mano destra (che richiese l’amputazione della falange distale sinistra) e alla spalla.
Così nacque l’affetto fra i due che decisero di sposarsi il 15 agosto del 1945 nella piccola chiesa di Cicogna, dopo la liberazione, e in poco tempo ebbero due figli.
Maria cercò poi di tornare a lavorare all’ospedale Niguarda di Milano ma la sua domanda venne rifiutata, così trovò lavoro presso la radiologia della Mutua di Laveno, ma la presenza di vecchi macchinari difettosi le causarono una malattia da radiazioni ionizzanti alle mani che le tolse la vita il 9 novembre 1976, a soli 61 anni, nella città di Verbania.
Oggi è sepolta col marito nel cimitero di Intra a Verbania.
Per la sua eroica attività le venne attribuito il grado di Medico di Brigata. Tra le onorificenze ricordiamo:
La medaglia Garibaldina
«in riconoscimento al valore militare e del grande amore per la patria dimostrati quando si trovava in Val Grande» 8 settembre 1947.
Croce al merito di guerra
«per l’attività partigiana» 16 agosto 1960.
Cavaliere Ordine al merito della Repubblica Italiana. 2 giugno 1973
Medaglia di bronzo al valore militare. 15 maggio 1979.
Diploma d’onore al combattente per la libertà d’Italia 1943–1945. 27 febbraio 1985
Medaglia d’oro della Resistenza
Redazione NurseTimes
Fonte: wikipedia
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