Nel 1979 il dolore è stato definito dalla IASP (International Association for the Study of Pain) come un’esperienza complessa che comprende dimensioni percettive, sensoriali, esperenziali, culturali e psicologiche e soprattutto quella soggettiva associata ad un danno tissutale reale o potenziale o descritta in termini di tale danno
Il problema del dolore è da sempre rilevante con una prevalenza di pazienti con dolore dal 19% fino al 57% sia in ambito ospedaliero che domiciliare.
L’accertamento del dolore è un obbligo di tipo etico-morale ma è anche un obbligo sancito per legge.
Anche il legislatore si è voluto occupare del tema dolore attraverso la legge del 15 marzo 2010 n. 38 che propone le disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore.
In particolare l’articolo 7 concentra l’attenzione sul quinto parametro vitale riportato in cartella clinica in relazione alle sue caratteristiche, alla sua evoluzione nel corso del ricovero, nonché alla terapia farmacologica e al risultato antalgico conseguito.
Anche per l’infermiere è un tema molto importante: con il codice deontologico nell’articolo 34 si afferma che l’infermiere si attiva per prevenire e contrastare il dolore e alleviare la sofferenza e si adopera affinché l’assistito riceva tutti i trattamenti necessari.
Fino a poco tempo fa si pensava che il bambino non soffrisse come l’adulto. Questa è un’affermazione sbagliata poichè il bambino prova esattamente dolore come l’adulto ma non lo manifesta nello stesso modo.
Come si può valutare il dolore pediatrico?
Le due scale principali di riferimento per la valutazione sono:
- la scala Wong Baker, o scala delle faccine, che presenta una serie di facce con varie espressioni, tra le quali il piccolo paziente deve scegliere quella che rappresenta meglio quello che egli sente;
- la scala VAS, o scala Analogica Visiva, attraverso la quale il piccolo deve segnare sulla retta il punteggio che corrisponde all’intensità del suo dolore.
E come si può valutare il dolore nel bambino con deficit cognitivo non comunicante?
Le tipiche espressioni facciali di dolore non sono comuni nei bambini con deficit cognitivo, infatti in questi bambini la valutazione è complicata dalla limitata capacità di comunicazione, dall’ambiguità delle espressioni facciali e dalle problematiche dolorose complesse.
L’incapacità di comunicare verbalmente limita quindi la possibilità di richiesta d’aiuto e i bambini con grave deficit cognitivo provano dolore più frequentemente rispetto ai loro coetanei sani: menomazioni neurologiche possono compromettere la capacità del bambino di comunicare il dolore.
Tra le cause di dolore nei bambini con deficit cognitivo vi sono le fratture patologiche dovute agli eventi convulsivi e ad un’alterazione della densità ossea, il reflusso gastroesofageo che è il primo responsabile di esofagiti e di polmoniti, la spasticità causata da distonie muscolari, scoliosi e deformità degli arti, la stipsi cronica dovuta alla cattiva alimentazione e da un ridotto apporto di liquidi, cause di dolore secondario a venipunture, interventi chirurgici, gastroscopie, fisioterapia e mobilizzazione.
Si è quindi cercato di formulare delle scale di valutazione del dolore in grado di osservare le reazioni comportamentali dei bambini come la FACS, la FLACC, e la CHEOPS, seguite da scale più specifiche come la NCCPC-PV e la DESS che hanno una maggiore individualizzazione degli items; La scala FLACC è in particolare quella più utilizzata e va ad analizzare 5 elementi: Face (Faccia), Legs (Gambe), Activity (Attività), Cry (Pianto), Consolability (Consolabilità).
La misurazione del dolore rappresenta il punto di partenza fondamentale per rilevarne la presenza ed è alla base delle decisioni sulla terapia antalgica da mettere in atto.
Un dolore significativo, cronico, ricorrente e non trattato ha delle conseguenze rilevanti sulla qualità della vita del bambino e sulle sue capacità adattive di performance
E’ necessario quindi sviluppare una cultura di attenzione riguardo alla diagnosi e al monitoraggio del dolore nei bambini attraverso l’uso di scale appropriate nella pratica clinica che rappresentano un punto di partenza necessario, semplice, poco costoso e che non comporta l’impiego di molto tempo.
La proposta sarebbe quella di effettuare le prime valutazioni insieme al genitore per valutare il comportamento iniziale del bambino e confrontarlo con il suo comportamento abituale. Le valutazioni successive verranno poi effettuate dall’operatore in autonomia.
Cosa si può fare quindi per sensibilizzare e implementare la cultura della valutazione del dolore?
Bisognerebbe garantire in tutti i percorsi di formazione di base dei cenni teorico-pratici del management del dolore nel bambino e strutturare dei percorsi aggiuntivi sulle competenze pratiche dei neoassunti in area pediatrica, ampliare lo spazio dato all’infermiere per la gestione dei trattamenti non farmacologici come tecniche di supporto e relazione e formulare linee guida a livello ospedaliero per questo tipo di trattamento.
Anna Arnone
Sitografia
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