La visione ”normale” di una persona in ospedale è in posizione supina e nessuno immagina che alcuni pazienti possano beneficiare del posizionamento prono.
La posizione prona, detta anche la posizione del nuotatore, prevede il posizionamento del paziente con il lato ventrale verso il basso e la zona dorsale verso l’alto. In una persona sana e autonoma questa posizione diviene facilmente gestibile, ma in un paziente allettato e immobilizzato è necessario l’aiuto di più operatori.
La procedura diventa complicata nel momento in cui si parla di una persona sottoposta a ventilazione meccanica perché oltre allo stato di salute critico sono presenti numerosi devices.
Quali sono le indicazioni alla procedura? Tra esse vi sono grave ipossiemia, inadeguata ossigenazione, insufficienza respiratoria refrattaria alla ventilazione meccanica, ARDS. Gli obiettivi di questa procedura sono caratterizzati dal reclutare degli alveoli precedentemente esclusi, ridistribuire l’acqua extravascolare, mobilizzare le secrezioni, migliorare gli scambi gassosi, facilitare lo svezzamento dalla ventilazione meccanica, migliorare l’ossigenazione del 70-80% dei pazienti con ARDS, diminuire il tasso di mortalità.
Come ogni procedura, la pronazione ha delle controindicazioni che si possono suddividere in relative e assolute: tra le relative abbiamo quelle condizioni per le quali si andranno a valutare il rischio e il beneficio della procedura (instabilità emodinamica, emottisi, tracheostomia recente, grave obesità, recente arresto cardiaco), mentre tra le seconde vi sono quelle per le quali la pronazione sarà esclusa a priori (trauma facciale, ipertensione endocranica, ischemia addominale, instabilità al rachide cervicale).
Oltre alla metodologia manuale c’è la possibilità di usare diversi metodi tra cui l’ausilio Vollmann e il letto automatizzato. Quest’ultimo è un letto molto raro a causa del costo che non giustifica l’utilizzo, mentre il Vollmann è un ausilio in metallo imbottito con delle fibbie che assicurano la testa, il torace e l’addome durante la procedura.
Prima di effettuare la procedura l’infermiere dovrà valutare lo stato neurologico poiché in alcune circostanze è necessario aumentare la sedazione per ottenere il comfort della persona. Inoltre, se la persona ha numerosi devices, l’infermiere sarà responsabile della loro messa in sicurezza, mentre l’operatore che sarà alla testa del paziente sarà quello più esperto, coordinerà gli altri operatori e sarà responsabile del tubo endotracheale.
A posizione effettuata si andrà a valutare ogni singolo distretto corporeo, partendo dalla testa e dal collo che possono essere posizionati contro il ventilatore, in parte opposta o sostenuti da un presidio in poliuretano. Tra le diagnosi infermieristiche riscontrate possono esservi:
– Rischio di compromissione dell’integrità cutanea.
– Rischio di inefficace liberazione delle vie aeree: anche la semplice manovra di broncoaspirazione in questa posizione non è scontata, così come mantenere l’asetticità della procedura.
– Rischio di lesione cervicale.
– Rischio di lesione corneale data dalla pressione che si instaura.
– Compromissione del comfort.
– Rischio di secchezza oculare: in un paziente sedato e curarizzato viene a mancare l’autolubrificazione dell’occhio.
– Rischio di ostruzione meccanica delle vie aeree: quando si mobilizza la testa è opportuno stare attenti a non dislocare il tubo endotracheale.
Gli arti possono essere posizionati in vari modi, ma è importante ricordare che la posizione delle braccia grava principalmente sulle articolazioni scapolo/omerali e quindi si può riscontrare:
– Rischio di lesione articolare: quando si mobilizza l’arto occorre ricordare che il paziente, essendo curarizzato, non ha più il controllo muscolare dell’articolazione e lo stesso operatore in primis potrebbe creare una lesione al paziente.
– Rischio di compromissione dell’integrità cutanea: questa diagnosi è trasversale a tutti i distretti corporei a causa dell’immobilità.
– Rischio di emorragia: a un paziente in terapia intensiva viene sempre incannulata un’arteria e, quando si mobilizza l’arto, è opportuno non dislocare il monitoraggio arterioso.
Per quanto riguarda il torace, l’addome e il bacino, tra le diagnosi si ha il rischio di compromissione dell’integrità cutanea, che può essere prevenuta attraverso l’utilizzo di presidi (soprattutto cuscini) sotto il manubrio sternale e le creste iliache. C’è inoltre il rischio di malnutrizione inferiore al fabbisogno perché potrebbe essere necessario sospendere l’eventuale nutrizione enterale in quanto in questa posizione il paziente non tollera la nutrizione oppure ci può essere ristagno gastrico abbondante. Poi il rischio di aspirazione perché, nel momento in cui si posiziona in maniera prona e c’èun ritardo nello svuotamento gastrico, può esserci la presenza di vomito. In fine il rischio di emorragia perché, oltre a un monitoraggio arterioso, il paziente potrà presentare un catetere venoso centrale e, se quest’ultimo viene posizionato in zona succlavia, il device non sarà più visibile all’infermiere e si potrebbe instaurare un’emorragia misconosciuta.
Per quanto riguarda gli arti inferiori, le articolazioni che risentono di più della pronazione sono la caviglia e il piede in quanto, se non si pone il piede dritto, si avrà un accorciamento del tendine d’Achille e un allungamento dei muscoli anteriori della gamba. Se invece si pone il piede al di fuori del letto, si avrà un aumento della pressione a livello del dorso del piede. In quest’ultimo caso si potrebbe sostenere il piede tramite un cuscino o un rotolo di lenzuolo, ma a ciò conseguirebbe il relativo aumento della pressione a livello dell’alluce e delle ginocchia. Oltre al rischio di compromissione dell’integrità cutanea e di lesione articolare, si avrà anche quello tromboembolico a causa dell’immobilità con il relativo rischio di stasi venosa.
Non è da sottovalutare la reazione emotiva del famigliare, soprattutto in strutture che adottano la politica delle rianimazioni aperte. L’infermiere avrà quindi il compito di informare su quale procedura si andrà a effettuare, ma soprattutto su quali sono gli effetti e le complicanze, come l’edema al volto alla ri-supinazione, così da rendere anche il famigliare partecipe del piano di cura
In conclusione questa tecnica è complessa, insolita e utilizzata raramente, e molto probabilmente è correlata alla scarsa consapevolezza dell’utilità della manovra, ma anche dei rischi e delle problematiche assistenziali specifiche. C’è un’enorme disponibilità di studi riguardanti gli effetti della manovra sulla funzione respiratoria, ma mancanza assoluta di ricerca sull’assistenza infermieristica al paziente pronato, sia dei rischi sia della prevenzione di questi rischi.
La soluzione per migliorare la fiducia degli operatori, che molto spesso tendono a opporsi o a ritardare l’inizio di nuove procedure per insicurezza, potrebbe essere la realizzazione di procedure condivise, con la messa in atto di laboratori, così da sfatare il mito della procedura complessa. Solo mettendosi alla prova è possibile creare una maggiore consapevolezza dei rischi attraverso la giusta pianificazione.
Anna Arnone
Sitografia
https://oldsite.aniarti.it/documentazione/intervento.php?eventkey=3&key=50
https://www.ipasvi.roma.it/ita/ilisi/index.php?action=resourceView&id=5193&access=1
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