Gentile Direttore,
sono un infermiere e vorrei condividere la mia esperienza da paziente/infermiere in un reparto psichiatrico che cura dipendenze, disturbi dell’alimentazione e dell’umore.
Con molta, moltissima fatica condivido questi pensieri, mai esternati così nel dettaglio, sperando possano aiutare chiunque si trovi nella mia situazione.
Ieri durante il colloquio con lo psichiatra ho saputo che verrò dimesso prima del previsto, nota decisamente positiva ma generatrice di dubbi, ansie, incertezze.
Oggi 14 febbraio, ultimo mio giorno di ricovero in questa clinica pubblica che tratta dipendenze, disturbi dell’alimentazione e dell’umore; dopo il pranzo ho visto un’altra paziente andare via, questa cosa mi ha reso ancora più fragile, non sono riuscito a trattenere le lacrime, perché oltre ad aver trovato un ambiente sicuro, con regole ed orari ben precisi, ho avuto la consapevolezza che le persone che ho conosciuto qui, con cui ho legato e che mi hanno ascoltato e capito, non ci saranno più, professionisti e pazienti.
Ho paura di tornare ad essere solo, inascoltato senza nessuno intorno con cui condividere le mie fragilità più profonde, quelle che mi hanno allontanato dagli affetti, dagli obiettivi della mia vita, da me stesso; dal conoscere il vero me stesso.
Tornare alla vita di prima, anche se si parla solo di una settimana, senza mettere in atto i soliti meccanismi autodistruttivi sarà durissima, tornare in un mondo che non ti capisce, non ti conosce fino in fondo e non ha assolutamente voglia di conoscerti di ascoltarti nè tantomeno aiutarti, sarà la sfida più dura di sempre.
Andare a fondo, fino in fondo all’origine dei miei comportamenti è ciò che voglio per diventare una persona migliore, la migliore versione di me stesso, questa sarà la sfida della vita stessa e allo stesso tempo potrà esserne la sua essenza.
Chissà quante persone si trovano da anni, decenni nella mia stessa condizione, in maniera consapevole o meno, quanta sofferenza abbiamo creato come società e come sistema sanitario che ancora oggi guarda alla malattia mentale, che sia dipendenza, disturbo dell’umore, dell’alimentazione o altro con distacco, indifferenza isolamento, o peggio ancora come criminali da punire secondo la legge.
Quanti pazienti potremmo individuare precocemente e trattare in tempo in età scolare ad esempio, con delle campagne ad hoc nelle scuole, nelle comunità e nelle carceri giovanili anziché aspettare che il problema esploda e diventi quasi irrecuperabile in età adulta.
Buona l’idea dell’infermiere di famiglia qualora venga messa in atto come dovrebbe ma non basta, servono infermieri nelle scuole formati a riconoscere i disturbi mentali giovanili, serve lo psicologo di famiglia, serve un sistema e una società che non metta più all’angolo il paziente psichiatrico ma al centro della società perché la maggior parte di queste persone ha una sensibilità maggiore rispetto al resto della popolazione e questo in una società ideale DEVE diventare risorsa, non problema.
Spero davvero in un mondo, una società e un SSN innovativo e all’avanguardia .
Davide Laurenti Infermiere e, ancora per poco, paziente di un reparto psichiatrico
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