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“La linea verticale”: quando la malattia può salvare la vita

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“La linea verticale”: quando la malattia ti salva la vita
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La fiction diretta da Mattia Torre e interpretata da Valerio Mastandrea merita il successo che sta ricuotendo.

Una fiction alternativa, ma anche una scommessa vinta, stando al successo di pubblico. Parliamo de La linea verticale, serie in otto puntate trasmessa ogni sabato su Rai 3 a partire dal 13 gennaio e fino al 3 febbraio. Sceneggiata e diretta da Mattia Torre, è ispirata a una vicenda che il regista ha davvero vissuto sulla propria pelle. La formula è quella del dramedy: non mancano i momenti commoventi, ma a risaltare è soprattutto il racconto del ricovero e della malattia, capace di strappare spesso un sorriso, che diventa un inno alla vita, anche quando la vita si fa dura.

LA TRAMA
La vita di Luigi, un 40enne interpretato da Valerio Mastandrea, sembra perfetta: sposato con Elena (Greta Scarano), padre di una bambina, in attesa del secondo figlio. Un giorno, scopre di avere un tumore e tutto cambia. Col ricovero in ospedale l’uomo entra in un mondo che prima aveva visto solo da lontano. Conoscendo nuovi amici, come il compagno di stanza Amed (Babak Karimi) e il ristoratore Marcello (Giorgio Tirabassi), e scoprendo che anche in corsia vale la pena di vivere la vita. Ecco come il protagonista descrive la sua esperienza:

“Io sono contento di stare qui. Prima di ammalarmi mi ritenevo indistruttibile, ma se devo essere sincero la mia vita non girava bene. Se mi fossi ascoltato di più, avrei sentito che qualcosa non andava. La malattia è arrivata in maniera esplosiva, deflagrante, ha cambiato tutto, e anche se è difficile ammetterlo, ha cambiato tutto in meglio. Mi ha aperto gli occhi, la testa, il cuore. Ora ho nuovi desideri, voglio essere centrato, voglio stare in piedi e vivere in asse su una linea verticale. Non voglio avere paura, perché la paura ti mangia e non serve a niente. Voglio pagare le tasse con gioia perché un ospedale pubblico mi ha salvato la vita senza chiedermi nulla in cambio. Voglio guardarmi intorno e vivere tutto quello che è possibile con generosità e vitalità. Questo tumore mi ha salvato la vita. Senza questo tumore, sarei senz’altro morto”.

IL RAPPORTO MEDICO-PAZIENTE
Un grande pregio de La linea verticale sta nel saper descrivere le mille sfumature di quell’autentico microcosmo che è un ospedale. Il paziente si ritrova fin da subito in una condizione di dipendenza psicologica dal medico, ossia da colui che, in quel momento, ne ha in mano la vita. E nella giungla ospedaliera, trovare un medico come il professor Zamagna (Elia Schilton) è una vera fortuna. Sono pochi, i medici così, ma esistono e sanno infondere tanta speranza in persone che la speranza rischiano di perderla.

GLI INFERMIERI E GLI ALTRI PAZIENTI
E poi ci sono gli infermieri, i veri capisaldi della struttura ospedaliera. Sono loro l’anello di congiunzione tra i due mondi, così lontani, dei medici e dei pazienti. Sono loro, spesso, a rallegrare le giornate dei malati, a rendere umano un luogo che la maggior parte delle volte non lo è. E ci sono i compagni di disavventura. La fiction punta molto sui rapporti indissolubili che si vengono a creare tra chi condivide quel tipo di percorso. Amici e parenti, per quanto importanti con la loro presenza, non possono infatti comprendere fino in fondo, almeno il più delle volte, cosa si provi in quella situazione. Gli altri pazienti, invece, sì.

UNA LEZIONE PER TUTTI
A La Linea Verticale, in definitiva, va riconosciuto il merito di raccontare un tabù come quello del cancro senza scadere in pietismi ed estremizzazioni. Questa serie tivù racchiude in sé un mondo, quello degli ammalati, ma si rivolge anche alle persone sane. Mostra ai primi che non sono soli e ai secondi che si può sopravvivere a un’esperienza devastante come quella del tumore, trovando tanti motivi per sorridere anche tra i corridoi di un ospedale. E ricorda a tutti che uno sguardo ironico può sempre salvarci dalle brutture della vita.

Fonte: www.altrospettacolo.it

 

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