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La dott.ssa Silvia Miracapillo laureatasi presso l’Università degli Studi di Foggia presenta la tesi dal titolo “L’educazione terapeutica: proposta di un management infermieristico per la continuità delle cure tra ospedale e territorio”.
ABSTRACT
L’interesse per l’area territoriale/domiciliare e per la continuità assistenziale ha iniziato a svilupparsi in me nel corso di questi anni universitari, in particolar modo durante il tirocinio dove ho potuto conoscere meglio sia la realtà ospedaliera che quella territoriale, la quale mi ha fatto riflettere e andare a fondo sull’importanza delle cure domiciliari.
La dimissione ospedaliera viene di norma pianificata al termine di un periodo di ricovero finalizzato alla diagnosi e cura della malattia e all’assistenza della persona malata.
Il momento della dimissione del paziente è un momento cruciale del suo percorso clinico e rappresenta attualmente una criticità nella gestione assistenziale dell’utente assumendo una funzione decisiva per la “continuità assistenziale”, in quanto rappresenta il momento nella quale viene assicurata un’attenta valutazione clinico-assistenziale del malato. Mentre ad occhi inesperti può sembrare che sia terminato il suo iter, in realtà, spesso e volentieri, è il momento in cui egli necessita di essere maggiormente “preso in carico”. Questo accade non solo perché può essere trasferito in un’altra struttura sul territorio, ma perché, anche se viene inviato al domicilio, spesso necessita di essere accompagnato nel post ricovero.
Per un appropriato trasferimento della presa in carico ad altri operatori è necessario predisporre chiaramente le operazioni necessarie dal punto di vista gestionale, organizzativo e informativo. L’articolo 27 del Codice Deontologico afferma che l’infermiere garantisce la continuità assistenziale anche contribuendo alla realizzazione di una rete di rapporti interprofessionali e di una efficace gestione degli strumenti informativi. Qualora il paziente venga rimandato al domicilio, è importante valutare il suo grado di autonomia e, in particolar modo, che abbia compreso le indicazioni date dal medico e dall’infermiere. Un ruolo cruciale è giocato dall’educazione terapeutica: insegnare al paziente come gestire alcune problematiche, addestrarlo all’utilizzo di device (dal semplice glucometro, fino ad arrivare ad un ventilatore domiciliare) è un elemento fondamentale per evitare complicanze e re–ammissioni precoci in ospedale.
È utile anche valutare la presenza o meno di un caregiver, ovvero di una persona in grado di accompagnarlo nel post ricovero e che possa essere a sua volta educata a riconoscere segni e sintomi di una patologia, a prevenire complicanze e ad utilizzare apparecchiature elettromedicali.
I ricoveri ospedalieri spesso determinano cambiamenti nel regime di trattamento del paziente con l’aggiunta di nuovi farmaci o l’interruzione di altri; agli assistiti, infatti, viene spesso modificata la terapia farmacologica prescrivendo nuovi farmaci e/o cambiando dosaggio rispetto a quelli che assumeva prima del ricovero. Molte volte accade, però, che gli assistiti, al momento della dimissione, non siano sufficientemente informati sui cambiamenti avvenuti riguardo la loro terapia farmacologica con la conseguenza che non conoscono:
- la ragione, le indicazioni e lo scopo per i quali è stato prescritto il farmaco;
- le corrette modalità di assunzione (giusto orario, giusta dose, interazioni con cibi e/o altri farmaci);
- insorgenza di possibili effetti collaterali (quindi riconoscere e cosa fare in caso di comparsa dei sintomi) e/o controindicazioni; – eventuale necessità di cambiamenti nello stile di vita o di esami clinici.
Il National Council for Patient Information and Education riferisce, infatti, che il 50% dei 2-3 miliardi dei farmaci prescritti annualmente, non sono assunte correttamente.
Pertanto, i pazienti che vengono dimessi dall’ospedale necessitano di un’istruzione sul regime terapeutico che devono continuare dopo la dimissione.
La disinformazione può essere dovuta a molteplici fattori e non sempre è imputabile ad una carenza di istruzioni al paziente durante la degenza e/o alla dimissione (in questo caso il più delle volte, il compito viene delegato al medico di base).
Da queste considerazioni emergono due problemi principali:
- spesso vengono fornite informazioni affrettate e/o incomplete senza concedere all’assistito la possibilità di chiarire eventuali dubbi;
- l’assistito comincia ad assumere i nuovi farmaci senza (o quasi) alcuna indicazione o, comunque, senza una adeguata educazione fino a quando non si reca dal suo medico o dal farmacista o ricava informazioni attraverso altre fonti come la lettura del foglietto illustrativo o la consultazione di siti internet.
Durante la degenza in ospedale, la figura cui il soggetto ospedalizzato fa maggior riferimento per ottenere informazioni riguardo la propria terapia farmacologica, è l’infermiere. (7) L’infermiere, infatti, è colui che somministra la terapia e che fornisce all’assistito le informazioni sulla terapia farmacologica che deve assumere.
L’educazione all’assistito è una componente dell’assistenza infermieristica:
“L’assistenza infermieristica è servizio alla persona, alla famiglia e alla collettività. Si realizza attraverso interventi specifici, autonomi e complementari di natura […] educativa.” (Codice Deontologico, art. 2 (2009))
“L’infermiere riconosce il valore dell’informazione […] e si adopera affinché l’assistito disponga di tutte le informazioni necessarie ai suoi bisogni di vita.” (Codice Deontologico, art. 2 (2009)) e l’infermiere, nei confronti dell’assistito, infatti, si impegna a: “Insegnare quali sono i comportamenti più adeguati per ottimizzare il suo stato di salute nel rispetto delle sue scelte e stile di vita.” (Patto infermiere-cittadino)
Le informazioni sui farmaci in base alle esigenze del paziente possono contribuire alla sicurezza del paziente migliorando la conoscenza, l’aderenza e la persistenza della terapia ,oltre a rappresentare una strategia per la prevenzione dell’errore durante la loro somministrazione (2), evitando successive riammissioni ospedaliere e diminuendo sia la morbilità sia la mortalità, mantenendo i pazienti nelle loro case; aumentando la loro capacità di prendersi cura di se stessi; riducendo l’ utilizzo delle risorse ospedaliere, riabilitative e di assistenza a lungo termine e l’aumento dei costi sanitari legati ad una non ottimale gestione della terapia. Questo perché i medici che entrano a casa e gli infermieri domiciliari hanno una visione delle esperienze e dei bisogni dei pazienti, il che fornisce loro una prospettiva unica e potenzialmente utile per quanto riguarda la percezione dei bisogni di informazione da parte dei pazienti.
Tutto ciò giustifica il crescente interesse nel trovare approcci innovativi per implementare la conoscenza dei pazienti riguardo la loro terapia farmacologica (come, ad esempio, programmi di auto-cura e interviste post-dimissione).
Dott.ssa Silvia Miracapillo
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