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La dinamica delle professioni sanitarie secondo il Rapporto Crea 2021

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La dinamica delle professioni sanitarie secondo il Rapporto Crea 2021
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Il documento, stilato dagli esperti dell’Università Tor Vergata di Roma, è intitolato “Oltre l’emergenza: verso una nuova vision del nostro Ssn”.

In Italia, nel 2017, si registravano 626.576 unità di personale dipendente a tempo indeterminato (sanitario, tecnico, professionale e amministrativo) in servizio presso le Asl, le aziende ospedaliere, quelle universitarie e gli Irccs, con una riduzione del 4,1% nel quinquennio. Tale riduzione era però parzialmente compensata dal ricorso a forme di contratto flessibile (a tempo determinato e lavoro interinale), che hanno comportato un incremento di 11.501 unità: il gap complessivo si riduceva al -2,3%. Sempre nel 2017 si contavano 638.052 unità, indipendentemente dalle forma contrattuale.

È quanto emerge dal 16esimo Rapporto Sanità del Crea (“Oltre l’emergenza: verso una nuova vision del nostro Ssn”), curato da Federico Spandonaro, Daniela d’Angela e Barbara Polistena, del Dipartimento di Economia e finanza dell’Università Tor Vergata di Roma.

Analizzando la dinamica delle professioni sanitarie, si osserva come le unità di personale medico a tempo indeterminato, si siano ridotte del -2,9%, con un contestuale aumento del ricorso alle assunzioni a tempo indeterminato, che portava così a un gap complessivo del -0,6%.
Un trend analogo si registrava per il personale infermieristico, con una riduzione delle unità a tempo indeterminato pari al -2,7%, ma il contestuale ricorso alle assunzioni flessibili ha ridotto il gap al -0,4%.

Italia e la Spagna erano in cima alle graduatorie europee, con 4,0 medici ogni 1.000 abitanti, precedute solo dalla Germania che ne registrava 4,3; Francia e Inghilterra ne avevano rispettivamente 3,4 e 3,0. Da considerare anche che in Italia oltre il 50% dei medici aveva più di 55 anni.
Diversa la situazione del personale infermieristico, con l’Italia posizionata agli ultimi posti: 6,7 infermieri per 1.000 abitanti, contro i 7,8 del Regno Unito, i 10,8 della Francia e i 13,2 della Germania, seguita solo dalla Spagna che registrava un tasso ancora più basso, pari a 5,9 ogni 1.000 abitanti.

Volendo adeguare il personale sanitario italiano alla media (sulla popolazione assistita) dei principali Paesi dell’Unione Europea (Francia, Germania, Inghilterra e Spagna), si può verificare che il personale medico risultava in esubero di 18.108 unità. A meno che non si consideri nel confronto la popolazione over 75. In tal caso il deficit era di 24.365 unità.
Per quanto riguarda il personale infermieristico, il deficit andava invece da un minimo di 162.972 unità (nel primo caso) a un massimo di 272.811 nel secondo.

Considerando che, in termini di dotazioni di posti letto, escluse Francia e Germania, che contano rispettivamente 6,0 e 8,0 posti letto per 1.000 abitanti, Regno Unito e Spagna avevano una dotazione simile a quella italiana (3,2): rispettivamente di 2,5 e 3,0 posti letto per 1.000 abitanti. Ciò avvalora quanto già riportato nel 15esimo Rapporto Sanità, ovvero che il deficit di personale sanitario in Italia è concentrato soprattutto negli infermieri e nell’assistenza extra-ospedaliera, che peraltro stenta ancora a decollare.

Per i medici, quindi, andrebbe elaborato un discorso mirato alle specializzazioni, effettivamente carenti. Un’efficace politica del personale dovrà propedeuticamente affrontare il tema della ridefinizione dei ruoli e dei compiti fra le diverse professioni sanitarie, come anche quello dell’adeguamento degli standard retributivi, senza i quali si rischia un’emorragia di professionisti verso altri Paesi.

Redazione Nurse Times

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