Di seguito la testimonianza di una studentessa di Infermieristica. Una delle tante che purtroppo mortifica l’intera comunità professionale
Bello il primo anno, o meglio il primo mese del primo anno, dove ti regalano una manfrina epocale su quanto l’Infermiere oggi sia una figura tutta nuova che possiede una nuova identità intellettuale. “L’INFERMIERE E’, SA E SA FARE” questa è la frase che ti ripetono fino a sognarla di notte. Ti spiegano che egli è IL RESPONSABILE DELL’ASSISTENZA INFERMIERISTICA e così inizi a studiare processo di nursing, piani assistenziali basati su addirittura delle diagnosi tutte nuove: LE DIAGNOSI INFERMIERISTICHE. Con queste premesse chiunque di noi era impaziente di entrare in tirocinio, arriviamo in reparto e… “Senti tu, ALLIEVO/A vai con l’OSS e impara a fare il letto, mi raccomando l’angolo, il cuscino messo bene e soprattutto SANIFICA IL COMODINO”.
Cosa? Ma io pensavo di imparare a gestire in toto il paziente, costruirgli un piano d’assistenza personalizzato in accordo con tutto il team sanitario. “Ah, eccoli i piccoli medici, pensano di saperne più di noi con 30 anni di esperienza solo perché adesso prendono la Laurea. Siete degli arroganti e poco umili”.
Mi sono detta, magari stanno solo cercando di mettermi alla prova e con il passare del tempo inizieranno a farmi vedere come applicare quello che ho studiato giorno e notte. E invece no, cercavo di sbrigarmi con l’OSS in modo da avere un po’ di tempo per mettermi vicino ad un infermiere e capire cosa faceva. Cosa fa? Tutto, tranne ciò che abbiamo visto a lezione. Secchiata di acqua gelida. Al che un giorno chiedo ma i piani di assistenza? Le diagnosi? Il rispetto delle linee guida?
Il rispetto del profilo professionale? Ma perché a lezione non ci avete mai fatto presente il profilo professionale dell’OSS? Vedevo che alcuni si rivolgevano all’infermiere come se fosse il bambinetto della 2 elementare a cui bisogna spiegare le cose con una certa… semplicità.
Troppo ardire, mi valuta la coordinatrice di reparto che mi avrà vista si e no tre volte su 20, giustificando questo voto con un “devi imparare a limitarti” basato sul racconto di qualche infermiera a cui io mi sono permessa di fare domande “scomode”.
E la comunicazione interprofessionale su cui insistono molto a lezione dove è finita? Ci fanno studiare terminologia apposita e poi in reparto sono in uso termini inappropriati. Passata questa esperienza vado in tirocinio in un’altra U.O. con la Tutor clinica paladina del giro letti e dell’ormai proverbio “La valutazione della cute si fa durante il giro letti, per questo è di competenza infermieristica”. La secchiata di acqua gelida stavolta aveva dentro pure i cubetti di ghiaccio. Notavo molte e grossolane divergenze su quello che faceva e ciò che le linee guida dicevano. Mi permetto di farglielo notare, con educazione, senza toni di messa in discussione (anche se lo era).
Risposta? Si è sempre fatto così. Mi faceva domande sui farmaci, che io fresca di esame di farmacologia avevo bene impressi, lei insisteva su nozioni totalmente arretrate e a volte completamente errate. Ormai avevo buttato tutto alle ortiche quindi cercavo fonti dove potessi dimostrargli che non dicevo fesserie, che non volevo fare il piccolo medico, ma che volevo applicare le conoscenze che lo studio (matto e disperatissimo) mi forniva.
Esco da questo tirocinio con una votazione di 24, perché preparata, anche troppo. Io mi chiedevo cosa stessi sbagliando, studiare tanto era uno sbaglio? Cercare di capire perché c’era tutta questa differenza tra università e reparto era un reato tale per avere queste valutazioni?
Eppure i miei voti nelle materie universitarie erano ottimi. Con tutti questi dubbi in testa iniziai l’ultimo tirocinio del 2°anno. I primi giorni la tutor mi studiò, vide che sapevo utilizzare la terapia informatizzata, mi relazionavo bene con i pazienti e mi fece anche qualche complimento. Ma durò poco. La mia tutor cambiò. Iniziò a parlami in toni infastiditi e non aveva importanza che ci fossero pazienti, parenti, personale, facevo delle domande e in 9 casi su 10 la risposta era: STAI ZITTA.
Io non capivo, dopo qualche giorno chiesi se avessi fatto/detto qualcosa di sbagliato, la risposta fu che io non mostravo umiltà ed ero troppo sicura di me, e che la mia grinta non aiutava. Non dovevo permettermi di leggere referti, cercare di effettuare un esame obiettivo su un paziente perché non sono un medico, né ho le conoscenze per farlo.
Fu una delle tante gocce, io che passai le notti a studiare manovre semeiologiche, clinica medica e chirurgica, feci degli ottimi esami e mi viene detto che non ho conoscenze? E soprattutto non m viene consentito di metterle in atto?
La risposta fu: “il vostro problema è che ormai Infermieristica è medicina concentrata, i corsi OSS vi basterebbero per fare l’Infermiere”. Lì presi una decisione, arrivai ad un bivio: abbassare la testa e agire come voleva lei nel nome di un buon voto, oppure alzare la testa e dimostrare una volta per tutte che l’ospedale non è l’asilo e io non abito a 1200 km da casa mia per farmi dire di fare un corso OSS perché a questo punto starei vicina ai miei affetti. Quindi o tu, tutor clinico, mi insegni a diventare un DOTTORE IN INFERMIERISTICA degno di questo nome o io volto le spalle e me ne vado, perché tu non renderai vani i miei sacrifici, tantomeno mi farai il lavaggio del cervello.
Continuai nella mia “arroganza”, i pazienti mi cercavano, anche qualche medico a dire la verità, magari anche solo perché ci teneva a farmi vedere una qualche procedura o addirittura durante qualche intervento mi mostrava cosa stava facendo.
Visto che lei non aveva nessuna intenzione di insegnarmi iniziai a fare da sola, a cercare qualunque cosa mi aiutasse a fare l’Infermiere, linee guida, procedure riconosciute. Un giorno la tutor mi vide educare un paziente operato agli esercizi respiratori, una prassi che dovrebbe essere la norma, questo ci dissero in aula, perse le staffe e da quel giorno iniziò con gli insulti personali, body shaming, fino a diventare vero e proprio mobbing, e tante colleghe le davano manforte.
Una sera mi scrive dicendomi che non dovevo andare vestita in ospedale come se stessi andando in discoteca, solo perché andai con un vestitino al ginocchio con scarpe da ginnastica (ad agosto in mezzo alla pianura padana) io per tutta risposta dissi che al di fuori dell’ospedale posso vestirmi come ne ho voglia, che io il tirocinio lo svolgevo in divisa. Si attaccò pure alla divisa, dicendo che mi stava male e che i pazienti mi guardavano. Comunque la risposta mi costò il tirocinio.
Questa mia testimonianza a beneficio di tutti gli studenti di infermieristica che si trovano o si sono trovati in situazioni come queste: SVEGLIATEVI! Non fatevi intimidire da gente invidiosa delle conoscenze che stiamo acquisendo, perché stiamo studiando non le stiamo rubando a nessuno, paghiamo le tasse, andiamo lontano da casa nostra, facciamo sacrifici.
Un futuro migliore dipende da noi, dalla nostra capacità di alzare la testa e di PRETENDERE. Ci spetta di diritto una formazione completa, concreta e coerente senza divergenze sul piano teorico-pratico. Senza il terrore di trovare qualcuno che prova in tutti i modi ad ostacolarci. Dobbiamo spingere le Università a prendere contezza di ciò che ci insegnano in aula e ciò che ci fanno fare in ospedale (o in qualunque sede di tirocinio) e mettere le due parti a confronto. Dobbiamo spingerle a scegliere con criterio chi ci affianca in tirocinio e non essere affidati a chi “ci vuole”.
Svegliatevi ragazzi! Non abbiate paura di un giudizio o un voto negativo, perché quello si recupera, è del nostro futuro che si parla. Non facciamo i passivi aspettando che siano gli altri a muoversi, noi possiamo cambiare tutto. NON MOLLATE!
Una studentessa delusa.
Una testimonianza dura che mette a nudo alcune criticità del nostro sistema formativo universitario.
Anna Di Martino
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