Nell’ordinanza n. 3131 del 2 febbraio 2023, la Corte di Cassazione ha stabilito criteri chiari per la quantificazione del danno derivante da demansionamento illegittimo.
Secondo la decisione della Suprema Corte, il lavoratore ha diritto a un risarcimento pari al 25% della retribuzione per il periodo in cui è stato illegittimamente demansionato.
Il caso che ha portato a questa pronuncia riguardava una lavoratrice che, affermando di essere stata demansionata in modo illegittimo, aveva presentato ricorso per essere riassegnata alle sue mansioni originarie. La Corte d’Appello non solo ha accolto la richiesta di riassegnazione, ma ha anche condannato l’azienda al risarcimento del danno, fissato in €12.290,75. Tale cifra corrisponde al 25% della retribuzione mensile goduta dalla lavoratrice durante il periodo di demansionamento.
La Cassazione, nel confermare questa sentenza di merito, ha sottolineato che l’assegnazione del lavoratore a mansioni di un livello inferiore, purché rientranti nella stessa categoria legale, è consentita solo in caso di modifiche negli assetti organizzativi aziendali che influiscano sulla posizione del dipendente. In assenza di tali modifiche, il demansionamento è considerato illegittimo, dando al lavoratore il diritto al risarcimento.
La decisione della Cassazione ribadisce l’importanza di garantire la coerenza nelle pratiche di demansionamento e stabilisce chiaramente i criteri per la quantificazione del danno. In questo caso specifico, il 25% della retribuzione è stato ritenuto un risarcimento equo e proporzionato.
La società datrice ha tentato di impugnare la decisione, ma la Suprema Corte ha respinto il ricorso, confermando la validità della sentenza di merito. Questa pronuncia della Cassazione potrebbe avere ripercussioni significative nel panorama legale del lavoro, promuovendo una maggiore tutela dei diritti dei dipendenti in situazioni di demansionamento illegittimo.
Redazione Nurse Times
Allegato (sentenza)
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