Se ne parlerà al 95° Congresso nazionale della Società italiana di urologia (Siu), che si apre domani a Riccione.
Salvare l’eiaculazione dopo un intervento per risolvere l’iperplasia prostatica benigna, oggi, in casi selezionati, è possibile grazie alle ultime tecniche chirurgiche ed endoscopiche, con percentuali anche molto alte, fino all’85%. Dipende, naturalmente, dalla tipologia di paziente, dalla dimensione della prostata e dalla sua età.
Complessivamente questa malattia maschile, che riguarda oltre 6 milioni di italiani over 50, con tassi di incidenza sempre più elevati col passare dell’età, si appresta, un po’ alla volta, a perdere uno degli effetti collaterali più difficili psicologicamente da accettare per un uomo: l’eiaculazione retrograda, cioè verso l’interno. Una conseguenza che può riguardare fino al 65% dei casi.
Grazie a nuove modifiche introdotte nelle tecniche chirurgiche più diffuse (la TURP, l’enucleazione e la vaporizzazione) risultava già risparmiata la funzione eiaculatoria, migliorando anche la normale funzionalità urinaria. Ora sono emerse anche alternative minimamente invasive che mirano a preservare la funzione sessuale e a migliorare i disturbi urinari, preservando quindi la qualità della vita maschile in toto. Tra queste vi sono la più nota, l’Urolift, e, pur se ancora sperimentali, l’Aquabeam, il Rezum, l’iTind. Di queste novità si parlerà al 95° Congresso nazionale della Società italiana di urologia (Siu), che si apre domani a Riccione.
“L’ipertrofia prostatica – spiega Giuseppe Carrieri, segretario generale Siu e professore di Urologia all’Università di Foggia, oltre che prorettore della medesima università – viene trattata con la chirurgia o l’endoscopia, come ad esempio l’adenomectomia prostatica, la resezione transuretrale della prostata (TURP) e i vari tipi di enucleazione laser. Ma la maggior parte degli interventi, fino al 65% dei casi, comporta la comparsa di un’eiaculazione retrograda con l’emissione del liquido seminale verso l’interno, cioè la vescica, e non verso l’esterno. Inoltre presenta un tasso di deficit erettile del 6,5%, a prescindere dalla quantità di tessuto asportato. La conseguenza è un profondo disagio psicologico, soprattutto nei pazienti più giovani. Oggi grazie a nuove tecniche è possibile ridurre al massimo questi rischi”.
“L’Urolift – aggiunge Vincenzo Ficarra, responsabile dell’Ufficio scientifico Siu e professore di Urologia all’Università di Messina, oltre che direttore del Dipartimento di Urologia all’Azienda Ospedaliero Universitaria ‘Gaetano Martino’ di Messina – è una procedura eseguibile in ambulatorio o in day hospital, che prevede l’impianto di device (simili a mollette) di ridottissime dimensioni capaci di tenere pervio il canale uretrale esercitando una trazione sui lobi prostatici ostruenti. L’ iTind è una sorta di stent intraprostatico, posizionato per via endoscopica nell’uretra prostatica e lasciato in sede per circa 5-7 giorni, prima di essere rimosso in regime ambulatoriale. Una volta posizionato il dispositivo si auto espande provocano una pressione ischemica sull’uretra prostatica e il collo della vescica favorendo così la formazione di un canale che permette il passaggio dell’urina”.
E ancora: “Il Rezum è una procedura mini-invasiva che utilizza il vapore acqueo. Questo viene iniettato attraverso un ago sottilissimo all’interno del tessuto prostatico ipertrofico.L’energia termica diffusa nell’interstizio del tessuto prostatico per convezione determina rottura delle membrane cellulari con conseguente progressiva riduzione del volume della ghiandola prostatica. Il sistema Acquabeam utilizza un getto d’acqua senza impiego di energia termica. La pressione dell’acqua distrugge il tessuto prostatico senza conseguenze termiche o meccaniche per i tessuti limitrofi”.
L’iperplasia prostatica benigna consiste nell’ingrossamento della prostata, la ghiandola maschile che secerne il liquido seminale e influenza l’eiaculazione, l’erezione e la minzione. È una patologia che colpisce oltre 6 milioni di italiani con più di 50 anni: la metà di quelli in età compresa tra i 51 e i 60 anni, il 70% dei 61-70enni, addirittura il 90% degli ottantenni. Ciò non significa, tuttavia, che i più giovani ne siano esclusi. Riguarda infatti anche l’8% dei maschi sotto i 40 anni. Considerata la sua alta incidenza, è fondamentale non trascurarne i sintomi che si presentano sotto forma di disturbi urinari, come difficoltà nella minzione, frequenza nell’urinare, bruciore e necessità di svuotare la vescica.
Redazione Nurse Times
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