Riceviamo e pubblichiamo le considerazioni del collega Bernardino Tomei, presidente del Consiglio regionale A.I.C.O. Lazio.
“Io non sono iscritto a nessun sindacato”. Quante volte avete sentito questa frase? Anche con orgoglio, ignorando che, anche per questo, si è parte dei molti problemi che affliggono la professione. E poi… è risaputo che “i sindacati e i sindacalisti pensano solo agli affari propri”. Ed è evidente che possa essere così quando si è pronti a ritrattare l’affermazione al primo, piccolo orticello da tutelare.
Oggi non dovrò strappare nessuna tessera per un semplice motivo. Innanzitutto perché odio la teatralità di certe espressioni e gesti. Ma soprattutto perché sono uno di quegli infermieri che, credendo in un certo tipo di percorso, è iscritto a un sindacato di categoria sin dalla sua nascita. E quindi non condivido il delirio che pervade la rete in queste ore.
Il giorno dopo la firma, non guardo ai sindacalisti delle altre sigle, né agli iscritti delle altre sigle, con quel filo di sadismo che alcuni sicuramente pensano sia necessario quando scrivono “ci vendicheremo il 4 marzo” o alle prossime elezioni RSU, oppure “ci vendicheremo”, punto. Tantomeno suggerirei a qualcuno di strappare una tessera.
A mente fredda, il 23 è stato firmato un contratto per 540mila dipendenti del comparto sanità. È un contratto che riguarda gli infermieri? Certo che lo è, ma il contratto riguarda anche il resto del comparto e, se è vero che gli infermieri rappresentano più o meno la metà di questi 540mila (dovrebbero aggirarsi tra i 260 e i 270mila), è anche vero che in quel rinnovo c’è tutta un’altra metà che non appartiene alla nostra categoria professionale.
Non capisco, quindi, l’accanimento di chi per formazione e cultura, ma anche per rappresentanza, il 23 era al tavolo e ha fatto di tutto per portare a casa un risultato. È il miglior risultato ? No, non lo è. Ne sono convinto anch’io. Loro sosterranno: “E allora che facevamo, non firmavamo?”. No, non firmavate! Perché sinceramente mi sfugge la differenza tra il non avere il contratto rinnovato per 11 o 12 anni e il no averlo rinnovato per 10. No, non firmavate! Perché nessuno aveva una pistola puntata alla tempia.
Ed è inutile raccontare la balla che, se non lo si fosse fatto, non si sarebbe firmato nulla per i prossimi 10 anni. Anzi, forse per una volta sarebbe stato possibile dimostrare davvero il potenziale e la forza di una parte del comparto. Il “ma”, tuttavia, è grande quanto una casa. Bisogna ricordare che quei sindacati rappresentano il comparto intero, per cui, in ultima analisi, c’è poco da questionare.
Diciamo, allora, che si poteva fare meglio. Ma è tollerabile, credibile o “professionale” (come piace dire a molti) usare certi toni o avere certi atteggiamenti? É vero, sono i toni che ormai ci fanno da modello e che costituiscono la norma, soprattutto nella dialettica da social. Io, però, credo che, se veramente #noisiamopronti, bisogna dimostrarlo tutti giorni e in ogni modo. Anche con le cose che si pensano, dicono o scrivono. Perciò mi rifiuto di scendere a un livello che non considero degno della professione della quale faccio parte.
Allo stesso modo trovo curioso come un fiume di persone, sui social e poi finalmente anche in piazza, si sia ricordato solo alla vigilia della firma che erano 10 anni che non si rinnovava il contratto. Le risorse disponibili al rinnovo non sono state stabilite l’altro ieri. E dunque mi chiedo, e chiedo anche al mio sindacato di categoria, dove erano quando si sono stanziati questi fondi? Perché la manifestazione e lo sciopero prima il 26 e poi il 23? Dalla sentenza della Corte costituzionale in poi doveva essere tutta una manifestazione. Ne abbiamo fatta una, e quel giorno io ero in piazza. Poi il ricorso al Cedu (fatto! E non perché ci credessi realmente, ma piuttosto come segnale), servito a poco. E poi? Se qualcosa è stato fatto, è stato troppo poco. Non credo che nessuno possa affermare il contrario.
Quindi oggi c’è solo una cosa da fare: iscriversi e non cancellarsi. Ma iscriversi per chiedere che alla categoria sia finalmente riconosciuto un proprio comparto, una propria sezione (chiamatelo come volete). Perché, dei totali 440mila infermieri, 270mila sono nel Ssn (per inciso, tra i paesi Ocse, è il rapporto più basso popolazione/infermieri, medici/infermieri). Sono quasi lo stesso numero di tutti i corpi di polizia. Sono 100mila unità in più delle forze armate e quasi 10 volte i vigili del fuoco (tutti hanno una loro contratto e tutti hanno ottenuto rinnovi più importanti). In poche parole un esercito, quello che tutti amano definire la spina dorsale del Ssn. Ecco, è arrivata l’ora di riconoscere rispetto alla categoria che consente al Ssn di essere una creatura con quella spina dorsale.
Bernardino Tomei
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