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Intramuscolo e “lesioni aggravate”, infermiera assolta

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Intramuscolo e "lesioni colpose aggravate", infermiera assolta
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Una “semplice” iniezione intramuscolare di due fiale di progesterone, da effettuare su una paziente che stazionava in sala travaglio. Era stata questa la prescrizione del ginecologo in servizio presso la casa di cura dove lavorava la collega al centro di questa particolare vicenda.

Non appena effettuata l’iniezione, però, la paziente ha lamentato subito un forte bruciore al quale faceva seguito la perdita della sensibilità degli arti inferiori. Dopo un breve periodo di osservazione presso la clinica, la degente è stata trasferita in ospedale e ricoverata presso il reparto di Neurologia; infine, ricoverata presso una struttura riabilitativa, ha iniziato una lunga fase di recupero durata otto mesi e che l’ha vista poi in cura presso altri centri specializzati.

L’infermiera è stata condannata dal Tribunale della Corte d’Appello per il reato di lesioni colpose aggravate, salvo poi essere assolta dalla sezione 4 penale della Cassazione: con la sentenza 37793/2018, la Suprema Corte ha accolto in parte il suo ricorso.

Come riassume la Cassazione nella sentenza, la Corte di Appello ha riportato dettagliatamente i motivi presentati dall’imputata che riprendevano anche “stralci dell’istruttoria dibattimentale o delle perizie” in cui si deduceva:

  • la posizione obliqua fatta assumere all’infermiera, era perfettamente consentita dai manuali di scienza infermieristica e dalle prassi”, che si “limitano ad asserire che il muscolo deve essere rilassato;
  • l’iniezione eseguita cranialmente rispetto alla regione glutea destra ha provocato la lesione di un vaso arterioso di cui l’operatrice non si è accorta, probabilmente anche stante la mancanza di aspirazione di sangue nella siringa che potrebbe risultare difficoltosa per lo spasmo delle pareti del vaso lesionato. A tale proposito in letteratura si segnala la possibilità che l’introduzione dell’ago in arteria non sempre si associ all’aspirazione del sangue”;
  • nessun addebito può essere mosso all’infermiera per il fatto di non aver ripetuto l’aspirazione o per non aver interrotto la procedura a causa dell’insorgenza del dolore acuto. Secondo le affermazioni del perito, infatti, “in realtà non c’è una regola, è forse una norma di buon senso perché se il problema è il dolore, potrebbe anche aver preso una radice diramazione nervosa”;
  • Per ciò che concerne la scelta della sede di inoculazione del farmaco (la zona lombare craniale destra anziché quella del gluteo destro, lombare inferiore, meno irrorata e più adiposa): nessuna colpa poteva essere addebitata alla imputata che aveva la possibilità di individuare “la zona visiva sede dell’iniezione, quella glutea e ciò aveva fatto secondo la normale tecnica infermieristica”; altresì, secondo l’appellante si è “di fronte a insufficienza, contraddittorietà e/o incertezza del riscontro probatorio sulla ricostruzione del nesso causale e quindi il ragionevole dubbio doveva condurre a un esito assolutorio”.

La Cassazione ha osservato che l’impugnazione da parte dell’infermiera “si basa, fondamentalmente, sul fatto che i giudici di merito avrebbero travisato l’esito dell’istruttoria dibattimentale, che non avrebbe consegnato la certezza, al di là di ogni ragionevole dubbio, del fatto che la condotta colposa dell’infermiera è stata causa delle lesioni gravissime riportate dalla paziente”.

E ha ritenuto che la decisione della Corte di Appello, per la parte impugnata dall’infermiera, è illegittima “proprio in ragione dell’omesso esame e della omessa conseguente motivazione sui punti di gravame in funzione del giudizio di responsabilità agli effetti civilistici”.

La Cassazione ricorda che le sezioni unite hanno recentemente precisato che, nel caso in cui il giudice di appello dichiari non doversi procedere per intervenuta prescrizione del reato “senza adeguatamente motivare in ordine alla responsabilità dell’imputato ai fini delle statuizioni civili, l’eventuale accoglimento del ricorso per Cassazione proposto dall’imputato impone l’annullamento della sentenza con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello, a norma dell’art.622c.p.p.”.

Per questo la Suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata “limitatamente alle statuizioni civili” e ha rinviato per nuovo giudizio al giudice civile competente; al quale ha rimesso anche la regolamentazione delle spese tra le parti per il giudizio di Cassazione.

Alessio Biondino

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