Una sentenza che dovrebbe far riflettere tutti quegli infermieri che ancora non hanno la minima idea di cosa competa loro fare è stata emanata dalla Corte d’appello di Venezia.
A riportare la notizia è il sindacato di categoria Nursind, attraverso il sito “Infermieristicamente” in un articolo pubblicato quest’oggi.
I giudici hanno confermato la decisione di primo grado, con la quale era stata rigettata la domanda proposta da un infermiere nei confronti dell’Azienda Unità Locale Socio Sanitaria per il risarcimento dei danni subiti seguito a quello che riteneva essere un infortunio sul lavoro.
Ma come ribadito dai magistrati, non tutto quello che viene svolto dagli infermieri in un reparto rientra nelle loro mansioni proprie (il mansionario dell’infermiere è stato abrogato, ogni professionista svolge ancora delle mansioni lavorative).
Nel caso specifico, un infermiere aveva pensato fosse di propria competenza abbandonare la corsia per inseguire in strada un paziente che si era dato alla fuga. Per raggiungere “l’evasore” aveva tentato di scavalcare una cancellata come si vede fare nei migliori film di azione, ferendosi goffamente durante lo slancio.
Il professionista denunciava quindi di aver subito un infortunio sul lavoro, ma il proprio datore di lavoro si opponeva sostenendo che quanto accaduto non rientrasse minimamente tra le attività richieste ad un infermiere.
Maggiori dettagli vengono forniti nell’articolo del sindacato Nursind, a firma di Maria Luisa Asta:
“Chiariscono i giudici che l’obbligo di prevenzione di cui all’art. 2087 c.c. che non configura una ipotesi di responsabilità oggettiva, impone al datore di lavoro di adottare non solo le particolari misure tassativamente imposte dalla legge in relazione allo specifico tipo di attività esercitata e quelle generiche dettate dalla comune prudenza, ma anche tutte le altre che in concreto si rendano necessarie per la tutela del lavoratore in base all’esperienza e alla tecnica; tuttavia, da detta norma non può desumersi la prescrizione di un obbligo assoluto di rispettare ogni cautela possibile ed innominata diretta ad evitare qualsiasi danno, con la conseguenza di ritenere automatica la responsabilità del datore di lavoro ogni volta che il danno si sia verificato, occorrendo invece che l’evento sia riferibile a sua colpa.
Nel caso in esame, dalla ricostruzione in fatto operata dai giudici di appello emerge che l’infortunio avvenne durante l’inseguimento di un paziente (peraltro, in regime di ricovero volontario) fuori dai locali del nosocomio e per effetto di modalità comportamentali gravemente imprudenti (scavalcamento del cancello).
Il ricorrente afferma che tale comportamento non poteva ritenersi estraneo alle mansioni lavorative, ma il punto è che il processo non offre alcuna prova (né, comunque, viene data alcuna allegazione ) di un comportamento colpevole del datore di lavoro, e cioè della ricollegabilità del sinistro alla violazione di un obbligo di diligenza del datore di lavoro nella predisposizione di misure idonee a prevenire ragioni di danno per i propri dipendenti.
La Corte territoriale ha fatto riferimento all’inesigibilità della condotta del ricorrente; va ulteriormente precisato che, nel caso, quel che rileva è l’insussistenza delle condizioni di operatività dell’obbligo di sicurezza, sotto il profilo dell’indimostrata esigibilità di una diversa e specifica condotta protettiva del datore di lavoro.
Ne deriva che l’infortunio, ancorché indennizzabile (ed indennizzato), non è, tuttavia, risarcibile.
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