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Infermieri italiani indignati per il programma “Tagadà” di La7

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Malasanità, incompetenza, errori in pronto soccorso e una completa assenza di conoscenza in materia di sanità sono stati gli ingredienti della giornalista Tiziana Panella durante la trasmissione “Tagadà” andata in onda lo scorso 18 marzo su La7.

Molta è l’indignazione degli infermieri riguardo il dibattito sulle competenze della figura infermieristica di triage di Pronto Soccorso.

Di seguito pubblichiamo un commento lasciato in esclusiva per Nurse Times da Marco Briganti, un nostro collega che avendo seguito in diretta televisiva la trasmissione, rivolge queste parole alla conduttrice e a tutti gli ospiti intervenuti.

Riportiamo anche il video relativo al suddetto dibattito:

Indignazione come cittadino, come infermiere (con vent’anni di esperienza in Pronto Soccorso e quindi di triage) e come clinical risk manager. Due cose devo anticipare: la prima è il rispetto del dolore per la signora che ha perso il marito, la comprensione per la tragedia umana deve essere sempre al primo posto quando si parla di eventi simili; la seconda è che queste mie righe non vogliono escludere assolutamente che possa essersi verificato un errore da parte dell’infermiere di triage o di altri membri dell’equipe sanitaria che sono intervenuti nel percorso, ahimè infausto, del paziente. Detto questo, mi sento di invitarla alla vergogna per la modalità unilaterale con la quale ha impostato la parte di trasmissione relativa al fatto in oggetto.

Quando parlate voi “giornalisti” di malasanità con tanta leggerezza, dovreste pensare a quando voi fate “malainformazione” e, mi creda, ciò accade molto più frequentemente di quanto avvenga in sanità. La differenza è che nel vostro caso si parla di volontarietà, in quanto dare un taglio criminalizzante e svilente al sistema sanitario paga, in termini di ascolti e di spettacolarizzazione.

Aggiungiamo inoltre che sparare sulla categoria professionale degli infermieri è molto più “sicuro” che farlo su altre (e questo è fondamentalmente colpa nostra!!!). Io mi chiedo come si possa analizzare un evento, come da lei fatto, senza avere la minima conoscenza del tema e, ancor più grave, non coinvolgendo neppure un esperto della materia. Se questa si chiama informazione, allora non mi stupisco più di come questo paese stia andando a rotoli.

Quanto dico è dimostrato, ad esempio, da quanto affermato da lei (“non vorrei mai essere accolta da un infermiere in Pronto Soccorso”) o dall’ancor più delirante affermazione del genio Cecchi Paone (“l’infermiere non ha studiato per fare questo“). Allora, giusto per chiarire un po’ le sue idee in merito (poche e molto confuse, mi consenta) e quelle dei suoi “illustri” invitati alla trasmissione, come infermiere vorrei comunicarle che il triage è una funzione che ha l’obiettivo di accogliere il paziente in Pronto Soccorso e attribuirgli un codice di priorità che deriva dalla gravità delle sue condizioni, principalmente dalla presenza o meno di pericolo di vita imminente, e quindi dalla differibilità delle cure e dell’assistenza (in questo senso anche il medico intervistato nel vostro servizio ha detto una emerita “boiata”).

Questo avviene in tutto il mondo e, sempre in tutto il mondo, questa attività è svolta da un infermiere. In Italia poi esiste una normativa specifica in materia (a partire dal DPR del 27 marzo 1992) che attribuisce questo ruolo all’infemiere. Quest’ultimo però, alla formazione di base (laurea) deve, recita la legge, “aggiungere almeno sei mesi di attività in Pronto Soccorso e una formazione specifica”.

L’obiettivo del triage non è fare diagnosi: questa è la motivazione per cui non “deve” essere un medico a svolgere questa funzione, che culturalmente andrebbe verso un’altra direzione, perdendo però di vista una caratteristiche fondamentale del triage, la rapidità. Come clinical risk manager, poi, vorrei metterla al corrente che qualsiasi operatore sanitario (medico, infermiere, ostetrica, tecnico sanitario, ecc.) può andare incontro ad un errore, come qualsiasi essere umano e qualsiasi altro lavoratore (dall’ingegnere all’imbianchino, dall’astronauta al giornalista…appunto). E non lo fa certo, di norma, volontariamente (ecco perchè malasanità è un termine assolutamente incongruo e fuorviante).

In tutto il mondo (eh già) questo è un problema ben noto e la gestione del rischio clinico è una delle attività di supporto a quella clinica, più importante e strategica negli ospedali (se si informasse maggiormente saprebbe di più sull’argomento, che invece è stato completamente ignorato nella sua trasmissione). Esistono, inoltre, in medicina, eventi cosiddetti “imprevisti ed imprevedibili”, che in quanto tali lasciano poco margine di azione (e questa possibilità un giornalista equanime avrebbe dovuto evidenziarla!!!).

Concludo sperando che queste mie parole le servano per migliorare il suo approccio alla cronaca e per dissuadermi dal pensare che la sua illustre “collega” Oriana Fallaci avesse ragione quando vi definiva “pennivendoli”. Le auguro, inoltre, nel caso sfortunato lei dovesse aver bisogno di un Pronto Soccorso, di essere accolta da un infermiere di triage preparato ed esperto”.

Continueremo a seguire attentamente questa spiacevole vicenda, attendendo una risposta dalla Federazione Nazionale IPASVI sui possibili riscontri mediatici del caso.

Savino Petruzzelli

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