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Infermieri disoccupati: mentre cercate un lavoro, progettate il vostro futuro

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Riceviamo e pubblichiamo con grande piacere il contribruto del dott. Aviano Rossi, un infermiere con grande esperienza nel campo della formazione e della dirigenza infermieristica in Umbria, un curriculum di tutto rispetto, dal 2011 inquadrato nella Usl Umbria/1 come Collaboratore Professionale Sanitario Esperto Infermiere, scegliendo un contratto part-time al 50% per avviare l’attività libero-professionale di Consulente e Docente in Management Sanitario.

Il dott. Aviano Rossi analizza il particolare momento che sta attraversando l’occupazione infermieristica offrendo degli inportanti spunti di riflessione che potranno sicuramente diventare dei validi “consigli” utili a progettare un futuro professionale di tutto rispetto. 

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La disoccupazione infermieristica torna ad essere, come avviene ciclicamente, una delle emergenze che la professione è chiamata ad affrontare. Un tema in continuità con l’evento che, intelligentemente, il Presidente del collegio Ipasvi Milano – Lodi – Monza e Brianza Dr. Giovanni Muttillo, ha scelto per celebrare la giornata internazionale dell’infermiere lo scorso 12 maggio, vedendomi impegnato come relatore nella sessione dedicata ai bisogni socio-sanitari emergenti.

Una serie di stimoli per i tanti neolaureati, alcuni ormai da qualche anno, che stentano ad individuare una prospettiva stabile e certa. Ma dopo 30 anni di esperienza professionale, dopo aver vissuto sulla pelle lo stesso problema quando negli anni ’80, neodiplomato, per guadagnare qualche soldino avevo avviato una attività libero-professionale conoscendo il lavoro presso i servizi sanitari pubblici solo dopo oltre due anni, non posso esimermi dal cercare di dare un contributo ai giovani per il loro futuro.

Consigli? Non è facile e forse non è giusto dare consigli perché le scelte sono individuali e devono essere calibrate sulle aspettative, sulle attitudini e motivazioni che sono diverse da persona a persona. Alcuni relatori, anche nella giornata del 12 maggio, hanno scelto la strada degli “accattivanti” suggerimenti, evidentemente ispirati da interessi di agenzia, legittimi e utili, ma non controbilanciati dall’illustrazione degli aspetti negativi di una piuttosto che dell’altra scelta. E’ questo il contributo che vorrei offrire ai neolaureati e comunque ai colleghi in cerca di lavoro, che hanno bisogno di conoscere i vantaggi e gli svantaggi di una decisione, piuttosto che di consigli, per intraprendere la propria carriera professionale nella consapevolezza delle proprie scelte.

Partiamo dalle opzioni possibili: attendere un lavoro in Italia, possibilmente nel pubblico e vicino a casa; andare a lavorare all’estero; intraprendere una attività libero-professionale; avviare una attività imprenditoriale nel campo dell’assistenza.

Il panorama è vasto ed abbastanza variegato, pertanto iniziamo con l’opzione primaria della ricerca di un lavoro, magari vicino a casa, opzione quasi obbligata per chi ha difficoltà a muoversi per ragioni personali o familiari. Ovviamente prima o poi l’esito sarà positivo, anche perché il rapporto domanda-offerta di lavoro infermieristico ha conosciuto sempre oscillazioni e sbilanciamenti, dimostrando ancora una volta il fallimento dei sistemi di programmazione degli accessi ai corsi di laurea. Sono migliaia gli infermieri che si presentano ai concorsi, questo è vero, ma sono sempre gli stessi e questo molto probabilmente determinerà ben presto scorrimenti rapidi delle graduatorie. Possiamo dire, con un sufficiente livello di approssimazione, che la strada della ricerca del lavoro alle dipendenze del Servizio Sanitario può consentire di fare la prima esperienza già entro un anno, per le persone disponibili a spostarsi dalla propria città, per poi avvicinarsi e consolidarsi nell’arco di 3-5 anni.

Molte persone, dopo questa lettura realistica del mercato locale, sono già con l’anima in pace, ignorando così opportunità che invece possono essere interessanti. L’alternativa più interessante è certamente il lavoro all’estero, dove non mancano alternative. L’Inghilterra per conoscere la culla dell’infermieristica e tornare con una identità professionale consolidata, oppure l’efficiente Germania dove il costo della vita è molto più abbordabile e da una esperienza di qualche anno si può tornare con un bel gruzzoletto.

Ma è sempre opportuno andare a lavorare all’estero, soprattutto se per tempi brevi?

In altre parole: fare la fatica e l’investimento di imparare bene una lingua straniera, sostenere i turbamenti che comunque si vivono affrontando la vita in un diverso contesto culturale, non sono giustificati per fare una esperienza breve, magari tornando una o più volte al mese in Italia per partecipare agli avvisi e concorsi, vanificando così i propositi dal punto di vista economico. Certamente l’esperienza all’estero è ad oggi una delle più interessanti sul piano del consolidamento professionale, ma se si decide di partire, lo si deve fare pensando ad un ciclo, a minimo un triennio in cui l’unica cosa a cui si deve pensare è di costruirsi una propria esperienza di vita, oltre che di lavoro, per poi decidere a debita distanza di tempo se il proprio futuro personale e professionale può realizzarsi in Italia o nel paese prescelto.

Ma se vado all’estero, nel frattempo che cosa mi perdo? Professionalmente parlando, sono cresciuto nell’epoca migliore per l’infermieristica, che dopo secoli di storia, è andata conoscendo in pochi anni i progressi più importanti: il superamento del mansionario, il profilo professionale, la formazione universitaria, la dirigenza. Ma oggi non è più così, siamo ormai fermi da più di un decennio e l’unico dibattito all’ordine del giorno è quello sulle specializzazioni e sulle competenze avanzate, che personalmente interpreto come la rivendicazione delle competenze che avanzano ai Medici, più che ad un avanzamento professionale. Certo è che partecipare al dibattito è comunque un modo per prepararsi al futuro e non esserci può significare tornare in Italia tra tre – cinque anni, trovando un nuovo contesto da conoscere ed interpretare, sentendosi nuovamente stranieri, ma questa volta nel proprio paese.

Andiamo allora all’opzione numero tre: l’attività libero professionale. Anche questa è una scelta che non si può affrontare con troppa leggerezza. Avverto che molti giovani intraprendono questa attività semplicemente in attesa di un posto dipendente, sostenendo spese di attivazione di una partita IVA, di produzione di materiale pubblicitario ed altro, per poi passare più tempo a cercare avvisi e concorsi che per lavorare. Credo che in prospettiva lo spazio per l’attività libero-professionale sia crescente, per effetto dei bisogni socio-sanitari emergenti derivanti sia dal progressivo invecchiamento della popolazione, che dalla diffusione delle malattie croniche. Un mix pericoloso che, insieme alla non autosufficienza, determina il bisogno di un monitoraggio clinico-assistenziale continuo, del quale il servizio sanitario pubblico, già alle prese con gravi problemi di sostenibilità economica, non sempre riuscirà a farsi carico. Ma se le condizioni sono queste, allora perché non pensare di intraprendere seriamente una iniziativa imprenditoriale, che renda la scelta non un inutile costo ed un perditempo burocratico per aprire e chiudere in poco tempo una partita IVA, ma un investimento per essere protagonisti di un nuovo mercato di servizi dove la domanda tenderà sempre a crescere e non certo a diminuire. In questo senso, l’apertura di ambulatori infermieristici, magari con una start-up imprenditoriale insieme ad altri colleghi, può essere il modo per avvalersi dei benefici di un terreno incolto e molto fertile.

Per finire un ultimo suggerimento: lo studio. E’ comprensibile che dopo un corso di laurea a spese della famiglia o comunque di sacrifici economici, non è semplice dire ad un neolaureato disoccupato di continuare a studiare. Non è importante cosa, può essere un corso di formazione gratuito piuttosto che la laurea specialistica, un master piuttosto che un progetto di formazione e ricerca. L’importante è non rimanere fermi e soprattutto di supportare la propria scelta con una formazione specifica ed adeguata. Nel lavoro il buon senso porta a fare tante buone cose, ma per avere successo sono necessarie quelle conoscenze e competenze che solo lo studio permette di conseguire. Proprio a Milano nel citato evento del 12 ottobre, questo suggerimento che ho rivolto ai presenti, mi è stato contestato da chi pubblicizzava, ovviamente nel proprio interesse di agenzia, una bella esperienza nel Regno Unito. L’obiezione è stata che i titoli non servono perché inutilizzabili e non spendibili. Non scendete mai a questo compromesso perché lo studio si spende in tanti modi, anche come titolo in un avviso pubblico, ma il valore aggiunto, il miglior contesto di spendibilità delle conoscenze e competenze che si acquisiscono con lo studio è il lavoro di tutti i giorni.

Nello studio non fermatevi mai e guardate sempre avanti, è questo il modo migliore di interpretare questa nobile professione che avete scelto di esercitare.

Aviano Rossi

Consulente e Docente in Management Sanitario

www.avianorossi.it

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