I neolaureati reclutati in Veneto avrebbero dovuto versare una quota di iscrizione alla cooperativa ed essere impiegati nell’assistenza domiciliare.
La carenza di infermieri, esplosa prima della mancanza di medici, oltre a creare danni in corsia e negli ambulatori, da anni sta alimentando un pericoloso fermento di “furbetti”. Mentre a Bologna l’Ispettorato del Lavoro ha scoperto due studi privati che gestivano, tramite app, 200 infermieri a chiamata come fossero fattorini e senza pagare loro contributi, ferie e festivi, in Veneto, qualche tempo fa, l’Opi Rovigo ha sventato un malaffare molto simile.
Una cooperativa di Milano, con delegati in tutto il Nord, ha contattato l’Ordine, il cui presidente Marco Contro (foto) è pure coordinatore regionale, per reclutare i neolaureati. «Il responsabile – ricorda Contro – ha detto di volerne assumere il più possibile come liberi professionisti da impiegare nell’assistenza domiciliare, e ha chiesto di potersi appoggiare a noi per individuarli e iniziare i colloqui. La cooperativa avrebbe preteso dagli infermieri l’affiliazione tramite il pagamento di 100 euro, che dava diritto a una tessera. Dopodiché ognuno di loro avrebbe dovuto aprirsi la partita Iva e procurarsi la clientela, cioè i pazienti, a loro volta tenuti a versare 50/100 euro di tessera».
E non è finita. Gli infermieri si sarebbero dovuti muovere con mezzi propri, pagandosi la benzina ed eventualmente l’autostrada, oltre a comprarsi il materiale di lavoro. La cooperativa si sarebbe limitata ad attivare una sorta di call center incaricato di incrociare domanda e offerta, soprattutto quando un professionista non poteva assistere un suo paziente perché già impegnato con un altro, e allora sarebbe stato necessario trovare un sostituto.
«Ma le cose non quadravano – rivela il presidente di Opi Rovigo –. Per arrivare a uno stipendio decente, i colleghi sarebbero stati costretti a lavorare senza sosta. La cooperativa, infatti, aveva stabilito un tariffario secondo il quale l’infermiere avrebbe dovuto riscuotere l’importo della prestazione erogata direttamente al paziente, fatturarla e versarne una cospicua percentuale alla cooperativa. I pazienti più fedeli avevano diritto a uno sconto. Alle fine, tra spese, contributo alla coop e sconti, in tasca restava poco o niente. Anche perché, a carico del libero professionista, c’erano pure i contributi».
Invece, tra tessere di affiliazione pagate da migliaia di infermieri e pazienti nel Nord Italia e percentuali sulle prestazioni, la cooperativa avrebbe intascato bei soldi. «E infatti abbiamo detto di no, anche ai due rappresentanti padovani della coop incaricati di incontrare i neolaureati: la schiavitù è stata abolita da tempo – ironizza Contro –. Gli imbroglioni sono ovunque. Il compito degli Ordini è tutelare la dignità della categoria e della professione, e in questo caso siamo riusciti a sventare una specie di cottimo. Tra l’altro non ci hanno mai fatto vedere il contratto che sarebbe stato siglato».
Redazione Nurse Times
Fonte: Corriere del Veneto
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