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Infermiere obbligato al giro letti per mancanza di Oss: Asl Lanciano condannata al risarcimento di 16.000 euro

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Infermiere obbligato al giro letti per la mancanza di Oss: Asl Lanciano condannata al risarcimento di 16.000 euro
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Per l’ennesima volta una azienda sanitaria è stata condannata da un tribunale italiano a risarcire un infermiere costretto a svolgere mansioni domestico alberghiere che nulla hanno a che vedere con la natura intellettuale riconosciuta da decenni alla relativa figura professionale.

Questa volta toccherà all’Asl Lanciano Vasto Chieti a dover pagare migliaia di euro ad uno dei pochi dipendenti che ha trovato il coraggio di denunciare una situazione che esiste in ogni realtà ospedaliera italiana.

Il professionista, per cinque anni, si è dovuto occupare di mansioni tipiche dell’operatore socio sanitario, quali igiene dei pazienti, rifacimento letti, distribuzione del vitto e risposta alle chiamate dei pazienti attraverso i campanelli.

Tutto ciò ha configurato il reato di demansionamento. Questa la decisione presa della Corte d’appello dell’Aquila dopo il ricorso del professionista in servizio nel policlinico teatino, assistito dall’avvocato Enrico Raimondi, che si era rivolto al tribunale del lavoro per vedere riconosciuto il suo diritto a svolgere solo mansioni adeguate alla sua competenza.

I giudici di primo grado avevano precedentemente respinto la tesi dell’infermiere, ma, un anno dopo, in appello, è stata riconosciuta una “mortificazione dell’immagine e della professionalità”, nonché un “danno alla dignità professionale”.

La Asl è stata pertanto condannata a pagare un risarcimento pari al 10% della retribuzione mensile relativa al periodo tra luglio 2012 e luglio 2017, oltre alle spese di giudizio, quantificate in poco meno di 16 mila euro; inoltre, l’azienda dovrà adibire l’uomo alle mansioni relative al suo inquadramento professionale, quello di infermiere.

Tutto ebbe inizio nel 2012: l’infermiere, in servizio nel reparto di Cardiologia, a lungo si è occupato di mansioni proprie del personale ausiliario, dal momento che il reparto poteva avvalersi del lavoro di due soli Oss, per due ore al giorno, da condividere con il vicino reparto di Chirurgia vascolare.

Nel 2017, con il trasferimento del reparto nel nuovo polo M e la divisione in due diversi reparti, Cardiologia A e B, la presenza di operatori sociosanitari è leggermente aumentata, anche se tali figure non erano comunque sempre presenti nel corso delle 24 ore.

Gli infermieri, dunque, erano costretti ad occuparsi di incombenze diverse da quello che prevede la loro figura professionale. Una situazione che, ha specificato il collegio giudicante, composto da Rita Sannite (presidente), Maria Luisa Ciangola e Luigi Santini, è giustificata “solo nell’ipotesi di una eccezionale e contingente assenza del personale ausiliario, in questo caso l’aiuto al paziente, anche in situazioni che non rientrano nella sua qualifica professionale, essendo espressione di deontologia professionale”.

Nel caso degli infermieri del policlinico però, non si sarebbe trattato di una situazione eccezionale, bensì di una routine andata avanti per almeno cinque anni. Pertanto, hanno concluso i giudici, “può ritenersi provata l’esistenza di un danno alla dignità professionale”, in particolare per la “natura di tale ultima attività (prettamente manuale rispetto alla natura intellettuale di quella propria del lavoratore), del fatto che tale attività inferiore viene svolta alla presenza di tutti i pazienti, che quindi vedono l’infermiere svolgere anche compiti propri di lavoratori inquadrati in categoria inferiore”.

Ci auguriamo che questa ennesima condanna rappresenti un duro colpo per tutte le aziende sanitarie che preferiscono risarcire i pochi coraggiosi che denunciano tali comportamenti criminali, anziché assumere le migliaia di OSS necessarie a garantire un’assistenza domestico alberghiere dignitosa ai malati.

Dott. Simone Gussoni

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