Riceviamo e pubblichiamo un contributo a cura del dottor Gaetano Ciscardi.
Il modello di salute e patologico dell’essere umano è in continua evoluzione veicolandosi sempre di più verso una concezione di “cura della salute” più che di “cura della malattia”. Pertanto le scienze sanitarie − o come preferite chiamare professioni sanitarie − assumono un ruolo predominante e centrale nel nuovo paradigma che prevede il loro inserimento a pieno titolo nel processo di cura del paziente in stretta collaborazione con la figura medica. In questo forte stato di mutazione del concetto di salute, mancano le dovute risposte che la sanità dovrebbe dare sia in termini di qualità ed appropriatezza di cure che di gestione di costi e risorse (utilizzare il giusto professionista per il giusto trattamento).
Nel corso degli anni abbiamo vissuto un periodo di transizione forte in cui la formazione infermieristica ha cambiato pelle passando da una totale dipendenza e complementarietà al sapere bio-medico alla situazione di oggi dove infermieristica e medicina sembrano 2 scienze che si occupano di altro purchè del processo di gestione condivisa dello stato di salute della persona. Quindi l’infermieristica del passato, orientata all’attuazione di tecniche manuali decise dalle attività esecutorie disposte dal medico, avrebbe dovuto accogliere (e il condizionale, cari signori, è d’obbligo) il passaggio da professione sanitaria ausiliaria gestita da mansionario e da prescrizioni “di esecuzioni di ordini medici” a professione sanitaria autonoma, intellettuale, non gestita da alcun mansionario di compiti ma capace di accogliere tramite opportuno processo di ragionamento assistenziale-clinico di tipo scientifico-intellettuale e relazionale-comunicativo le richieste di salute dell’utenza e della comunità.
Questo appena descritto (che in modo semplicistico e dinamico chiamiamo “processo di nursing” dovrebbe permettere all’infermiere di oggi di espletare la propria attività lavorativa tramite l’applicazione di nozioni scientifiche verificate e certificate dalla comunità di ricerca (EBN) collaborando con tutte le figure sanitarie e mediche all’applicazione del processo di cura che vede il paziente coinvolto verso un team multidisciplinare perfettamente consono e preparato ad affrontare con autonomia ed autorevolezza i propri campi professionali, senza sub-ordinazione a nessuna altra figura professionale.
Ma come ovviare allora a questa “crisi d’identità” professionale che non permette di trovare univocità di intenti? La prima cosa da fare per cambiare un sistema culturale professionale è intervenire sulla formazione, riformando i corsi di laurea in infermieristica verso una organizzazione strutturale e formativa tolemaicistica, in cui la disciplina centrale deve essere l’infermieristica mentre il contorno formativo deve essere formato dall’insieme delle altre discipline (medica in primis) che agiscono da integrazione e completamento del percorso che porterà lo studente a divenire un dottore abilitato all’esercizio della professione infermieristica adoperando un sistema in cui le reali competenze infermieristiche si articolerebbero su tre giacimenti:
1. Individuazione dei problemi assistenziali.
2. Definizione delle conoscenze disciplinari professionali da attuare su tutti i livelli di formazione per l’esercizio corretto della pratica di cura, ricerca, insegnamento e tutoraggio.
3. Ricerca ed applicazione dei contributi di altre discipline che agiranno da supporto ed integrazione per la gestione dei fenomeni a carattere infermieristico.
Quindi quanto detto ci proietta ad una visione infermieristica non concentrata sulla patologia (a quello ci pensano i medici) quanto alle alterazioni pre-patologiche che hanno origine dall’eccessivo (o nullo) soddisfacimento dei bisogni psico-fisici, ai fattori ambientali e comportamenti e conseguente livello di adattamento all’ambiente ospedaliero, garantendo quindi il cosiddetto empowerment alla salute, ossia processo di azione sociale attraverso il quale le persone, organizzazioni e comunità acquisiscono competenze e consapevolezze sulla propria vita, mutando il proprio ambiente sociale e politico per migliorare la qualità ed equità di vita.
Il concetto di alterazioni pre-patologiche (riconosciute anche sotto il nome di dyrropia, da dis esprimente valore negativo o disvalore e dopia che indica equilibrio, pertanto “dis-ropia” = disequilibrio) intende una vera e propria assenza dell’equilibrio psico-fisico equiparato all’ambiente circostante e al sistema organico interno e al suo funzionamento fisiologico (omeostasi). La dyrropia, diversamente dalla malattia, non è mai stata nè indagata nè confutata; essa potrebbe difatti essere identificata come “il senso di stare male”, ossia “avere la sensazione di non stare bene”.
Attenzione a non confondere quanto appena detto con la “sensazione soggettiva del paziente” o uno “stato indefinibile di non stare bene” pertanto percepibile solo da chi nè soffre e non quantificabile oggettivamente; difatti la dyrropia non è assolutamente da ricercare alla voce “sintomi” ma bensì alla voce “disfunzione biologica”, quest’ultima derivante ad alterazioni di meccanismi di omeostasi dell’organismo, che si traducono come tutti i malesseri generali, disturbi, indisposizioni, malori, acciacchi, inappetenza improvvisa, senso di pesantezza eccessiva del proprio corpo e/o di uno o più parti di esso ecc. di cui tutti gli essere umani spessissimo soffrono.
Quindi, volendo dare una definizione alle dyrropie, possiamo descriverle come “alterazioni e deviazioni di uno o più processi biologici di tipo fisico o psichico misurabili attraverso parametri morfologici, fisiologici, biochimici, biofisici, ormonali, enzimatici, funzionali e psichici interni all’organismo a causa dei quali lo stesso diminuisce la propria risposta ed efficienza biologica e capacità di adattamento (disomeostasi) agli agenti nocivi, agli ambienti psico-fisici esterni ed interni, ai fattori sociali e familiari, con conseguente rallentamento o riduzione delle proprie capacità di funzionare correttamente e fronteggiare gli eventi avversi dando meno potere alle funzioni biologiche che normalmente dovrebbero attivarsi con lo scopo di combattere tali eventi”.
Vediamo quindi come palesemente la società richieda continuamente nuovi modelli di cura e non vuole più essere trattata nella patologia ma nella salute, o comunque nei processi immediatamente precedenti allo stato di malattia (dyrropie). Da qui l’infermiere dovrebbe inserirsi come il solo professionista sanitario in grado di supportare questo nuovo modo di curare e prendersi cura, coltivando il sapere scientifico, preventivo, educazionale relazionale-comunicativo di cui dovrebbe già essere parte dominante della propria attività lavorativa; ma per farlo urge assolutamente liberarsi dalle catene “ausiliarie” della quale fa ancora parte ed evolversi verso una concezione di assistenza diversa da quella che attualmente espletiamo mascherandoci troppo spesso in figure di supporto, mentre l’utenza si aspetta ben altre competenze dalla nostra professione.
L’infermieristica dovrebbe rappresentare “la scienza che previene la patologia” appropriandosi con autorità e competenze a divenire la primaria protagonista dei processi di prevenzione su ogni livello (primaria, secondaria e terziaria) e svolgendo informazione ed educazione sanitaria a tutta la popolazione, in una dinamica in cui tutti i professionisti sanitari e medici andrebbero a migliorare la loro stessa qualità lavorativa.
Ma allora quale risulta essere il limite concreto per impostare un nuovo modello di concezione del nursing? La risposta sta semplicemente negli infermieri stessi, i quali ancora non hanno deciso cosa vogliono fare da grandi e con chiarezza stabilire l’essenza dei problemi di salute di cui si devono interessare autonomamente. Quindi forse il quesito da porgere diventa un altro: i Dottori Infermieri italiani sono realmente pronti a camminare da soli prendendo in mano la loro professione con autonomia, competenza e autorità?
Dott. Gaetano Ciscardi
FONTE: Costanza, R. (2012). “La questione infermieristica. Prendersi cura o curare? L’infermieristica è o non è una scienza?”. Ambrosiana.
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